Daniele Vicari, il post sulla Diaz oscurato e le scuse di Facebook: ecco di chi è la colpa della censura
31/07/2016 di Boris Sollazzo
Siamo in una pagina di commedia all’italiana 2.0. Il problema è che il regista è ottimo, è quel Daniele Vicari di Velocità massima, L’orizzonte degli eventi, Il mio paese, Il passato è una terra straniera, Diaz. E, prossimamente, Sole Cuore Amore con Isabella Ragonese. Lo sceneggiatore, invece, è pessimo. E’ Facebook, con i suoi algoritmi che, abbiamo scoperto, ha nelle parole da censurare, insieme a “porno” anche “Diaz” o “Carlo Giuliani” (lo diciamo per deduzione, dal momento che sono le due parole in comune tra i post di Zerocalcare e Daniele Vicari), ma non “Duce” (c’è un gruppo, sul social, che si chiama così, e non è neanche il più vergognoso). E’ Facebook con le sue regole che permette a branchi di socialfascisti di segnalarti, perché sanno che Zuckerberg e soci daranno retta alla quantità delle richieste di blocco e non alla loro qualità.
LEGGI ANCHE: FACEBOOK CENSURA DANIELE VICARI, DOPO ZEROCALCARE CANCELLATO UN ALTRO POST SULLA DIAZ
LEGGI ANCHE: DANIELE VICARI SCRIVE A FACEBOOK “BASTA CON LA CENSURA SULLA DIAZ E CARLO GIULIANI”
LEGGI ANCHE: DANIELE VICARI NON LASCIA FACEBOOK MA RADDOPPIA E PROPONE UN INCONTRO PUBBLICO A FACEBOOK
Ora, dopo che si è creata una tempesta mediatica attorno alla censura di un post del cineasta – una lunga analisi cinematografico-politica in una polemica con un collega -, dopo il blocco di 24 ore impostogli in seguito alla ripubblicazione del post stesso da parte del regista, dopo la lettera aperta dell’autore pubblicata in anteprima da Giornalettismo e poi finita su molte altre testate in cui minacciava l’abbandono del social, ecco la risposta di Facebook. Risibile nella sua burocratica e imbarazzante superficialità, la stessa con cui gestiscono le nostre parole, i nostri pensieri, le interazioni e pure le polemiche su una piattaforma che ci ha invaso anche con le sue oscure regole. Libertà d’espressione è anche cercare un uso corretto e democratico di un luogo ormai imprescindibile della comunicazione pubblica e privata. E per essa si deve lottare, come ha fatto Daniele Vicari, perché non si può prendere sotto gamba un incidente così, peraltro trattato dal social senza alcuna riflessione sul proprio ruolo e le proprie azioni.
Tanto, basta dare la colpa a “uno del team”. Perché in fondo, come insegna Lars Von Trier, si può dare sempre la colpa a chi non si vede. Che sia “Il grande capo” o “un membro del nostro team che ha accidentalmente rimosso un contenuto che hai pubblicato su Facebook”.
E scusarsi sentitamente per un “accidente” che non era tale (visto che l’oscuramento è avvenuto due volte!), ma il sintomo di un’inadeguatezza, se non di una preoccupante strategia, non basta. E infatti Daniele Vicari parla solo di “piccolo passo avanti”. Ma esprime ancora tutte le sue perplessità su quanto è avvenuto.
ACCIDENTALMENTE! ACC…
Il “Team” ha ripristinato i post cancellati (accidentalmente DUE volte), è vero, il messaggio contiene una involontaria ammissione della più assoluta discrezionalità con cui Facebook opera sui post che ritiene di rimuovere. Quindi le accuse di “censura” non sono campate in aria. Secondo questa schermata ci sarebbero dei “membri” che rimuovono i post, altro che algoritmi, e se (in ordine cronologico) Giornalettismo, Repubblica, Articolo21, La stampa e oggi Il Manifesto non avessero posto il problema? In qualche modo io sono esposto pubblicamente, ma meno “noti” utenti si beccano la punizione e devono tacere. Sono comunque contento che si stia ponendo questo problema oltre la nostra ristretta cerchia di “amicizie”, perché attraverso i “social” (che sono aziende private) passa ormai un pezzo consistente della “coscienza collettiva”, la nostra, e la vigilanza deve essere alta, più alta di quella che operiamo nei confronti di “entità” politiche e istituzionali pubbliche. Le “segnalazioni” da parte di singoli o gruppi di utenti, non sono neutre, andrebbero vagliate seriamente, ci sono “stronzetti e stronzoni” che fanno politica in questo modo, e la serie di incidenti di Facebook sui fatti di Genova2001, dimostrano che c’è chi sa il fatto suo. La libertà di opinione è una cosa maledettamente seria, non fidiamoci di chi fa spallucce e dice “va beh, è una stronzata”. Questi episodi denunciano una palese non neutralità del controllo. Definirei questa parziale ammissione di “Sua Entità” Facebook un piccolo passo avanti, ma i dubbi che ho in testa continuano ad ingigantirsi, non è accettabile ciò che accade con così evidente leggerezza.