Dc 9 Mondiale 1982, Ciccio Graziani: «Il calcio non può perdere quest’occasione»
08/03/2016 di Boris Sollazzo
Ciccio Graziani è il calcio. Quello che unisce la grinta operaia alla classe, il senso del gol con la generosità, la forza del sogno con l’etica del lavoro. La sua è stata una carriera piena di grandi imprese compiute (lo scudetto del 1976 con il Torino, a cui contribuì con 15 reti – l’anno dopo sarebbe stato capocannoniere con 21 -, e ovviamente il campionato del mondo del 1982, con quel gol decisivo al Camerun) e di altre sfiorate (il secondo posto quando era alla Fiorentina, a un solo punto dall’odiata Juventus nel 1982, stagione in cui segnò 11 gol, la Coppa Campioni sfumata per gli errori ai rigori dei campioni del mondo: lui, appunto, e Bruno Conti).
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Un gladiatore che è entrato nella leggenda con Pulici (anzi, Puliciclone): li chiamavano i gemelli del gol ben prima di Vialli e Mancini alla Sampdoria.
Ma è Spagna 1982, ovviamente, a essere ancora negli occhi di tutti. Dopo che nel 1978, in Argentina, si vide scalzato da Paolo Rossi, in terra iberica, per l’infortunio di Bettega, giocò titolare come esterno sinistro d’attacco. Più di 200 gol in carriera, eppure quello al Camerun, in una delle partite più discusse (e brutte, diciamolo) della storia della Nazionale, ci consentì di passare il turno. E di andare avanti nel mundial che ci vide vincitori. E abbiamo ancora negli occhi anche il dolore, dopo 7 minuti, a cui Ciccio cerca di resistere, in finale. E la sua uscita. La maglia azzurra per lui è un tonico: 25 anni dopo, nella partita commemorativa Italia-Germania fece una doppietta nel 4-4 finale. Ma nella chiacchierata con noi racconta che cos’è, per lui, quel Dc 9 che rischia di essere dismesso. Quello dello scopone, quello del ritorno in patria, quello della festa. E si emoziona, anche ora che è stato allenatore ed è diventato un divo della tv, dal talent Campioni – le sue uscite sulla panchina del Cervia sono leggenda – a Goal Show, su NapoliTivù, dove si è scoperto, con Katia Vitale, un conduttore efficace quanto lo era da bomber.
Ciccio, come fu farsi dare un passaggio da Sandro Pertini?
Il presidente era venuto a prenderci. Voleva vedere la partita, ma ancora di più voleva tornare con noi. Prima che noi sapessimo che sarebbe stato allo stadio, aveva già fatto disdire il nostro volo di linea, quello che ci doveva portare indietro. Qualsiasi fosse stato il risultato finale, lui voleva viaggiare con noi. Lo trovammo un gesto bellissimo, che ci caricò molto, capimmo che, a differenza di altri, lui aveva apprezzato il nostro lavoro, i nostri sacrifici, il nostro cammino non sempre facile. Chiaramente dopo il trionfo tutto divenne più bello ed entusiasmante, quella che era una decisione presa da un grande uomo divenne magia. L’aereo era un Dc9 riadattato per un capo di Stato, con poltrone più grandi del normale, salottini. Non ne avevo mai visto uno. E credo neanche i miei compagni.
E poi la partita a scopone. Provò a farsi inserire in squadra?
Assolutamente no. Nessuno di noi aveva dormito la notte, avevamo festeggiato per ore e l’adrenalina della vittoria ci aveva tenuti svegli. Ricordo ancora quando si sedettero a giocare. Dormivano quasi tutti, solo io, Dossena e forse altri due non riuscivamo a chiudere gli occhi. Alcuni di noi, compreso il sottoscritto, ogni tanto si alzavano a spiare la partita.
Quindi, Ciccio, confessi: lei sa chi aveva ragione tra il capitano e il presidente?
Ma Dino, diamine! Non scherziamo. Il presidente lasciò scopa di sette. E Causio fece scopa. Poi Dino mise sul tavolino un altro sette. E Bearzot fece scopa. Nell’incredulità di tutti noi. Capito? Pertini aveva rischiato con un solo sette in mano, ma invece di arrabbiarsi con se stesso si incavolò con Zoff, disse con veemenza che doveva tenere il sette! Il capitano provò a difendersi “ma presidente, se lei butta il sette con il rischio di subire una scopa, io penso che lei ne abbia un altro in mano!”. Pertini non sentiva ragioni, urlò pure, se ne uscì con un “devi imparare a giocare meglio!”.
E voi provaste a difenderlo?
Ma come fai a metterti contro il capo dello Stato? Noi ce la ridevamo, Dino si girò verso di noi, noi alzammo le spalle come per dire “non puoi metterti a discutere con lui”. E allora disse a bassa voce “come faccio a contraddirlo?” e si prese la colpa. Ma è giusto dare a Dino ciò che è di Dino, aveva ragione da vendere. Dopo questa scena, a bassa voce, dissi a chi mi era vicino “è un grande presidente ma di scopone non ci capisce nulla!”.
Di quel viaggio qual è il ricordo più vivido?
La preoccupazione del segretario generale della Presidenza della Repubblica Antonio Maccanico. Ci avvertì che c’erano milioni di persone sul tragitto dall’aeroporto a Roma, e molte avevano occupato la pista di Ciampino. Voleva fare in modo di andare direttamente al palazzo presidenziale: Pertini non sentì ragioni. Nonostante le comprensibili insistenze del suo collaboratore che pensava alla sua sicurezza, lui decise altrimenti. Voleva il bagno di folla per noi e ordinò al pilota di atterrare comunque dove era previsto. Da grande presidente qual era voleva che la gente potesse festeggiare con noi e che noi vivessimo a pieno l’effetto di ciò che avevamo combinato. Alla ragion di stato e delle regole, preferì quelle del cuore e del suo popolo.
Come andò a finire?
Era il presidente della gente, e allora stabilì che al Quirinale ci saremmo andati, ma in pullman. Da Ciampino. Non volevamo né potevamo deludere tutte quelle persone, sorrido al pensiero del povero Maccanico, preoccupatissimo. Ti dico solo che dovemmo volare dieci minuti attorno a Ciampino per far liberare la pista, l’entusiasmo aveva sì che molti la invasero. Impensabile, oggi.
Poi atterraste. Ricorda il momento in cui scese dall’aereo?
Come fosse oggi. Una cosa meravigliosa scendere quella scaletta. Se vogliono sezionare l’aereo, devono tenere anche lei. Fu un colpo d’occhio stordente. Noi, in Spagna, non ci eravamo mai resi conto di quanto entusiasmo ci fosse attorno alla squadra, non avevamo percezione neanche dei caroselli delle partite precedenti. Certo, ce li avevano raccontati, ma come fai a immaginarli? Fu sconvolgente. Non c’era un pezzo d’asfalto libero, da Ciampino al Quirinale un fiume ininterrotto di persone, non potevamo andare oltre i 30 all’ora. Ci accompagnarono, a volte sembrava portassero loro il mezzo, che neanche servisse tenerlo in moto.
Ha più rivisto quell’aereo?
No, ma vorrei rivederlo. Sono rimasto sorpreso quando ho capito che c’era ancora, ero convinto fosse stato venduto o dismesso, sapevo che i Dc9 non potevano più volare. Ho visto su internet, sul vostro sito, le foto. E’ ancora in ottime condizioni, è stato emozionante scoprirlo. Spero davvero che quell’aereo venga portato al Museo di Coverciano, il calcio non può farsi sfuggire quest’occasione, è un pezzo della nostra Storia. Come sport e come paese.
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Per salvarlo si potrebbe organizzare un’altra partita a scopone? Lei si renderebbe disponibile?
Altroché! Quando volete, vengo con Dino e Causio, li accompagno volentieri. Purtroppo Bearzot e Pertini non ci sono più, dovremmo trovare un quarto. Il Presidente attuale è disponibile?
E di quell’Italia-Germania cosa le viene in mente appena ci pensa?
L’abbraccio prima di scendere in campo prima della finale: Dino, uno che di parole ne usava poche ma buone, ci radunò e ci disse “dobbiamo fare la Storia”. Ci caricò a mille. “Ci vuole il 150%, non basta dare del nostro meglio, dobbiamo andare oltre”. Poi ci siamo abbracciati tutti ed è stato il momento più toccante, più bello. Mi emoziono ancora adesso a raccontarlo.
E poi la partita. Anche dopo il rigore sbagliato da Cabrini, sembravate sicuri di vincerla.
Avevamo l’impressione di poter battere tutti, sentivamo dentro di noi e nel gruppo qualcosa di magico. Rispettavamo gli avversari, tutti, ma conoscevamo il nostro valore, il nostro carattere, la nostra voglia di andare fino in fondo. E poi sapevamo che i tedeschi erano stanchi per i supplementari contro la Francia, che Rummenigge non stava tanto bene.
Ti racconto una cosa: io il primo tempo non l’ho visto, ero negli spogliatoi con il ghiaccio per via dell’infortunio. Quel rigore l’ho solo “sentito”. Ho capito che avremmo alzato la coppa all’intervallo. Quando rientrarono i ragazzi erano tutti tranquilli. Eravamo calmi e pronti ad affondare il colpo.
Cosa e chi le manca di più di quei giorni?
Mi manca tanto Gaetano Scirea. E non solo quello del mondiale, ovviamente. Non doveva morire. Era un esempio di lealtà, professionalità, di purezza. Non me ne faccio ancora una ragione. E anche Enzo, un grand’uomo.