Debunking Emanuela Orlandi – 1
14/07/2008 di Dario Ferri
Il “coté informativo” del caso della ragazza di cittadinanza vaticana scomparsa nel 1983 in circostanze misteriose passerà prima o poi alla storia come uno dei più grandi depistaggi mai effettuati nella pubblicistica italiana. I cui frutti avvelenati si scorgono ancora oggi.
If you go down to Willow Farm,
to look for butterflies, flutterbyes, gutterflies
Open your eyes, it’s full of surprise, everyone lies,
like the fox on the rocks,
and the musical box.
Yes, there’s Mum & Dad, and good and bad,
and everyone’s happy to be here.
“Desidero esprimere la viva partecipazione con cui sono vicino alla famiglia Orlandi, la quale è nell’afflizione per la figlia Emanuela […] non perdendo la speranza nel senso di umanità di chi abbia responsabilità in questo caso”. E’ il 3 luglio 1983, Emanuela Orlandi è scomparsa da appena 13 giorni quando papa Giovanni Paolo II dalla terrazza dell’Angelus pronuncia queste parole. Lui non lo sa, ma è proprio con il suo intervento che si mettono in moto una serie impressionante di agenzie di disinformazione professionali, che dapprima affiancano e poi superano quelle artigianali, in un turbinio di dichiarazioni e controdichiarazioni che, negli anni, chiameranno in causa i Lupi Grigi, la Stasi, il Kgb, lo Ior, Marcinkus, fino ad arrivare ai giorni nostri, con la Banda della Magliana e il Banco Ambrosiano (certe cose sono come il nero: stanno bene su tutto). Eppure, al netto dei fiumi d’inchiostro e delle ormai innumerevoli puntate di “Chi l’ha visto?” dedicate alla vicenda, un’opera (sommaria) di debunking comincia a farsi necessaria. Se non altro, per sgomberare il campo da tutta una serie di “falsi miti” che ancora incrostano gli articoli di giornale e l’immaginario collettivo. Coprendo, di conseguenza, qualche “mistero non gaudioso” (cit.).
DALL’INIZIO – Della scomparsa di Emanuela Orlandi si sa poco fin dall’inizio. E’ il 22 giugno quando esce, in ritardo,da Porta Sant’Anna per andare alla scuola di musica, che si trova a un chilometro e mezzo in linea d’aria da casa sua, tra piazza delle Cinque Lune e S.Apollinare, a un tiro di schioppo da piazza Navona e dal Senato. Un vigile, Alfredo Sambuco, dice di averla vista proprio in Corso Risorgimento, parlare con un 35enne che scendeva da una Mercedes verde (metallizzato? Scuro? Cromato?), e andava dalla direzione opposta rispetto alla scuola. Dice che erano le 17, poi le 19 alla tv ben dieci anni dopo, e di nuovo le 17 poi. S’è sbagliato, ma è importante che se erano le 17, Emanuela poteva stare arrivando, se erano le 19 poteva star andandosene. Dice sempre Sambuco che il tizio ha una borsetta, e che Emanuela gli chiede dov’era la Sala Borromini, perché lui la conosce visto che una volta l’ha accompagnata alla Tappezzeria del Moro, per far riparare la custodia del flauto. Ma Ettore Orlandi, il padre oggi scomparso, a Pino Nicotri (“Mistero Vaticano“, pag. 23-30) ha detto: “Mio figlio Pietro e i suoi amici andarono a Piazza Madama pochissimi giorni dopo la scomparsa, e parlarono con il vigile Sambuco e il poliziotto Bosco. Parlando, è saltata fuori la storia di una ragazza che somigliava alle foto di Emanuela che Pietro aveva visto parlare con uno sconosciuto vicino a una Bmw. Se Sambuco dice che conosceva Emanuela, o mente o dice una cosa nuova. La faccenda della riparazione del flauto è un’invenzione: ce l’abbiamo portata noi”. Anche Bruno Bosco rende testimonianza, e parla per la prima volta della borsetta Avon contenente cosmetici, che ricalcherebbe la strategia di qualche altro fatto di sangue accaduto a Roma precedentemente (la tattica dell'”abbocco“).
CHI NE AVEVA PARLATO? – Un dato di fatto è qualcosa che è appurato. Uno che dice qualcosa non è un dato di fatto. O meglio, è un dato di fatto che qualcuno abbia detto qualcosa. Ma non è un dato di fatto quella cosa che ha detto, finché essa non è dimostrata. Finora, di dati di fatto non ce ne sono, se non dell’ultima specie di quello descritto. Dalla scuola, Emanuela telefona a casa; parla con una delle sorelle, Federica, e le dice che uno le ha promesso 375mila lire per distribuire prodotti delle sorelle Fontana al Salone Borromini, e viene all’uscita per sapere se può andarci. Le dice. Però combacia, se non fosse che questa storia, secondo Ettore, era già arrivata agli orecchi del vigile e del poliziotto tramite Pietro. Quindi non combacia. O meglio, combacia con quello che dice Emanuela. Quello che è accaduto realmente non lo sappiamo. All’uscita di scuola, Raffaella Monzi – un’altra studentessa – secondo la sua testimonianza raggiunge Emanuela, per aspettare con lei “l’uomo della Avon”. Poi se ne va, mentre le si avvicina “un’altra ragazza” – dirà lei – che le sembra un’altra allieva (Laura Casagrande); questa, però, negherà. Da quel momento la cittadina vaticana sparisce. Tutto qui.
O MEGLIO… – Poi comincia il manicomio. A casa Orlandi è subito allarme, e si può capire. Sabato 25 e domenica 26 chiama Pierluigi, che dice di avere 16 anni. Non esiste, a quanto se ne sa, trascrizione di questa telefonata. “Emanuela è viva e sta bene ma si vuole allontanare da casa per un po’. Tornerà presto”, dice, e aggiunge due particolari decisivi: cita la Avon e riferisce dell’idiosincrasia della ragazza per gli occhiali. Dopo questo, Pierluigi esce di scena e non ci torna più. Si presenta Giulio Gangi. Appena assunto al Sisde con il ruolo di coadiutore, arriva a casa dei genitori di Emanuela per cominciare un’indagine. E’ lì perché è legato da affettuosa amicizia con la figlia di Mario Meneguzzi, zio di Emanuela; ma ai genitori non lo dice. Mette sotto controllo il telefono e opera una vera e propria perquisizione, ripetuta nei giorni seguenti. Motivo? Crede che Emanuela sia stata rapita da un’organizzazione criminale dedita alla prostituzione giovanile. Ma dice alla mamma che riavrà la figlia a breve, massimo in capo a qualche mese. Perché? Dirà poi che voleva “rasserenarla” (Nicotri). Il 28 il telefono torna a squillare: è “Mario” . Ha un bar dalle parti di ponte Vittorio e vuole scagionare un suo amico rappresentante della Avon. Ha visto Emanuela. Si fa chiamare Barbara, è stufa della routine familiare ma tornerà alla fine dell’estate, per il matrimonio della sorella.
SIA CHIARO, EH…? – Fin qui, nessuno ha detto né tantomeno provato nulla. Le informazioni passate da Pierluigi e Mario potevano essere raccattate ovunque, persino spacciandosi per giornalisti o poliziotti e chiedendo ai compagni di scuola di Emanuela, o ai loro genitori. Il caso era già pubblico, ma il Papa non aveva ancora parlato. Arrivano i famosi manifesti, attaccati per tutta Roma, che diverranno simbolo. Ma nessuno sa, nessuno parla di rapimento. Eppure la segreteria di Stato vaticana dedica al caso un vertice segretissimo, al quale partecipano Casaroli, Somalo e Battista Re, secondo la sentenza del giudice istruttore Adele Rando. Nessuno ne parla, fino al 3 luglio quando lo fa il Papa. Apriti cielo. Passano 48 ore, e a volte basta poco per allestire un palco. Ecco la prima telefonata dell’AmeriCano.