Debunking Emanuela Orlandi – 1

14/07/2008 di Dario Ferri

Alla famiglia? No, al Vaticano. “Teniamo in ostaggio la Orlandi, Pierluigi e Mario fanno parte della nostra organizzazione, vogliamo la liberazione di Ali Agça”. Detta un codice: 158. Attacca, aspetta un’ora o poco più, e chiama a casa Orlandi (dove risponde Meneguzzi), fa sentire una registrazione di una voce di bambina che dice “scuola convitto nazionale Vittorio Emanuele secondo…dovrei fare il terzo liceo quest’altr’anno..” a loop. E dice: “Funzionari vaticani non mancheranno di aver contatto con lei [il fischio di un treno copre le parole]”. Tutto questo non è pubblico. Su richiesta di Orlandi, il Vaticano prima nega e poi ammette la telefonata. La ribalta sui media non è cominciata.

THE SHOW MUST GO ON – E’ per questo che il 6 luglio un anonimo con voce giovanile telefona addirittura all’Ansa. Leggete con attenzione cosa dice: in realtà non sta parlando; sta dettando: “Stammi bene a sentire: noi abbiamo Emanuela Orlandi, la studentessa di musica. La libereremo soltanto quando sarà scarcerato Mehmet Alì Agça, l’attentatore del Papa. Testuale: con tutta l’inutilità delle due forme “la studentessa di musica” e “l’attentatore del Papa. Eppure i loro nomi sono sulla bocca di tutti. Ma chi ha composto il messaggio, probabilmente, non ha una grande opinione dei giornalisti. Oppure si vuole assicurare al mille per mille che si capisca tutto, anche se il telefonista si facesse prendere dall’emozione. Quello continua dicendo che non importa a quale gruppo appartiene, e dice al cronista di andare a piazza del Parlamento, dove il redattore trova una fotocopia della tessera d’iscrizione di Emanuella alla scuola di musica, e una ricevuta di pagamento, oltre a una frase (“con tanto affetto la vostra Emanuela”). Tutte fotocopie. Prove che Emanuela sia viva? La voce poteva essere stata registrata in un’altra occasione (anzi, pareva proprio che lo fosse, visto quel che diceva), e la scrittura imitata, visto che era abbastanza elementare. Però i documenti confermavano una cosa: che chi li aveva fatti ritrovare aveva avuto come minimo un contatto o con Emanuela, o con qualcuno che ci aveva avuto a che fare dopo la sparizione.

ACCA’ NISCIUNO E’ FESSO – Tutto si può dire dei preti, tranne che siano creduloni. Il giorno dopo il Messaggero dà conto dello scetticismo (non della Segreteria di stato, ma della Curia) “sulla matrice terroristica del presunto rapimento”. In più, si diffonde inquietantemente la falsa notizia che Ercole Orlandi sia andato in udienza dal Papa, con tanto di dichiarazione – “lui ci aiuterà” – completamente inventata. Lo stesso giorno l’Americano si fa risentire a casa Orlandi: riferisce qualche particolare decisivo sui gusti musicali della ragazza (“l’atto…il cantante favorito de la ragazza…Baglioni“); poi dovrebbe rispondere a una domanda fattagli attraverso i media dallo zio (lui non sa che lo è, crede sia il papà; importante: evidentemente non conosce Ettore di persona, altrimenti lo correggerebbe; anche per mostrare la geometrica potenza della sua organizzazione, che potrebbe così dire di avere spie ovunque), ma invece gli dice: “Mi hanno riferito che lei m’ha chiesto il lunedì dove è stata al ristorante… senta, signor Orlandi, io mi meraviglio di lei, questa non può essere una prova… capisce che noi poevamo pedinare la ragazza prima di…de prelievo [e saperlo, evidentemente]…”. Poi invece una prova gliela dà: “…ragazza tua piace un ragazzo di nome Alberto che ora militare. Ascolta, non dire queste cose ai giornalisti, questo mi avere chiesto tua figliola, come una forma di pudore”.

CHE FAI, CAMBI DISCORSO? – L’amerikano così evita di replicare a una domanda della quale non sa una risposta, ma dice un’altra cosa del presente della Orlandi, vera, che lo accredita come rapitore. Chiede di non divulgare, per volontà della Orlandi (dice), ma l’effetto è che così magari chi l’ha confidata a lui non viene sapere che serviva per questo. Chissà. Comunque sono tutti elementi che ruotano attorno alla scuola di musica: la tessera d’iscrizione, il filarino, eccetera. E l’8 luglio chiamano proprio una studentessa della scuola di musica Laura Casagrande, il cui numero compariva sull’elenco del telefono. Ma Laura aveva anche dato il suo numero a Emanuela proprio il giorno della sparizione (Nicotri, pagg. 26 e 46). Questo lo farà notare il telefonista all’Ansa in una telefonata successiva, che dovrebbe essere “prova” della sua attendibilità. Dice che rivendicano tre contatti: le prime due telefonate dell’americano e quella “dettata” all’Ansa. Non l’ultima, sempre dell’Americano, a casa Orlandi. Dicono che non hanno sollecitato l’intervento del Papa, e che la chiave della trattativa non è una sigla. Chiede ancora la liberazione di Agça. Nomina anche Pertini, indirettamente: quindi sa che il terrorista turco non è sotto la giurisdizione del Vaticano. Fa un riferimento a una città della Germania Orientale, avvalorando così implicitamente la “pista dell’Est” nell’attentato al Papa.

STO BENE QUI, GRAZIE – Agça viene interrogato in merito alla storia, ma dice di non saperne nulla, che augura alla Orlandi ogni bene, e che rifiuta ogni libertà o scambio con qualcuno. Stava collaborando con gli inquirenti, dopo la condanna definitiva all’ergastolo. Faceva nomi che trovavano riscontri. Aveva cominciato a parlare di “pista bulgara”, e converrete che lo faceva in modo più sicuro dal carcere di massima sicurezza ad Ascoli dov’era rinchiuso, e non a piede pericolosamente libero. A questa pista però gli inquirenti non vogliono credere. E allora si rincara la dose. Altre tre chiamate dell’Americano, stavolta a Paese Sera, altre frasi manoscritte. Meneguzzi va in tv e chiede una prova decisiva: una foto di Emanuela con il giornale di oggi e sapere cosa ha fatto la ragazza il lunedì precedente la scomparsa. I congiurati si fanno risentire, stavolta a casa di una compagna di Emanuela il cui numero non è nell’elenco telefonico; dicono che hanno un nastro da far recapitare all’Ansa, sta a piazza San Pietro. I cronisti ci vanno e non trovano nulla. Due giorni dopo a piazza del Quirinale invece sì: nastro registrato con una voce femminile che dice “ma perché mi fai questo? O dio ma cos’è? Sangue!” da un lato, dall’altro con un comunicato che riassume il contenuto dei precedenti. E’ lunghissimo, contiene altri particolari sulla vita privata di Emanuela, attacca la disinformazione e dice che avranno le foto quando Agça verrà liberato, che lo voglia o no. L’americano poi chiama il Vaticano per far dare ai giornali il comunicato, ed è significativo che in questa occasione usi il codice 158, ma Casaroli ai primi due incontri non arrivi in tempo al telefono. La famiglia “nomina” l’avvocato Egidio: a dire il vero, Ettore sosterrà di non aver mai pagato né lui né Krogh, e che questi venivano pagati dal Sisde. Da questo momento i comunicati, in turco o in italiano stentato, si moltiplicheranno. E un motivo c’è.

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