Francesco: il prezzo che deve pagare un ragazzo disabile in Italia
23/01/2014 di Stefania Carboni
C’era una volta una legge, o meglio c’è ancora. Esiste da oltre dieci anni e si chiama 162/1998. Garantisce assistenza domiciliare a chi soffre di handicap gravi attraverso predisposizione e finanziamento di piani personalizzati con operatori sotto il tetto di casa. Si diminuisce in questo modo il carico sui familiari e non si relega la persona dentro una residenza sanitaria (magari pagando comunque una retta mensile). Bella legge se non fosse che in Italia non si applica perfettamente. Per mancanza fondi e delibere applicative la 162 viaggia a macchia di leopardo lungo tutto lo stivale. A farne le spese, come sempre, è chi dovrebbe ricevere una assistenza dovuta. Anna è mamma di Francesco, affetto da tetraparesi spastica e quindi disabile al 100 per cento. I benefici della 162 non li ha mai visti: «Nonostante ci fosse questa legge – racconta – ho avuto per due anni una persona che poteva venire due ore a settimana». Con un ragazzo che non si può sollevare autonomamente, né recarsi in bagno da solo i problemi ci sono. Poi sono arrivati i tagli ai fondi e quindi addio assistenza. Anna vive a Milano (zona uno): «L’assistente sociale (ne ho apprezzato la schiettezza) mi ha detto, testuali parole: “tutti sanno che la legge non viene rispettata, ma non si può fare diversamente”. Sto parlando di un diritto fondamentale, non certo marginale, che fa capo alle persone in assoluto più fragili e indifese. Un diritto che viene sancito dalle nostre leggi e dalla convenzione europea per i diritti dell’uomo. Eppure il fatto che la legge non venga applicata, è considerato un fatto normale. Perchè?». In Lombardia a settembre si è approvata la DGR 740 2013 che applica l’utilizzo delle risorse trasferite dallo Stato con il Fondo per la Non Autosufficienza alla Regione in interventi a favore delle persone con disabilità gravi e gravissime. Il problema però è che a pochi mesi dal via le Asl non vanno di pari passo con i comuni lombardi.
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VELOCI MA DIVERSI – Come ben segnala Ausl Niguarda, chiamata a monitorare il fenomeno, nonostante l’impegno del funzionario Virginio Marchesi, collaboratore dell’Assessore Regionale Maria Cristina Cantù, si va ancora a rilento:
La comunicazione. In sette casi su quindici, sui siti delle Asl, alla data del 9 dicembre, non compariva ancora alcuna indicazione su come poter accedere ai benefici previsti dalla DGR 740. In un caso (Asl Mantova) sul sito è stato pubblicato il solo modulo di richiesta. Quattro Asl, a seguito di un contatto via mail, hanno però fornito le informazioni in proposito. E’ stato quindi impossibile, al momento, raccogliere le informazioni sulle iniziative assunte o in fase di progettazione dalle sole Asl di Lecco, Lodi e Valle Camonica. Una carenza di informazioni che potrebbe essere interpretata come scarsa efficienza oppure come un esito di un percorso di programmazione partecipato non ancora concluso.
e ancora…
E’ certo comunque che, al momento, l’azione delle Asl e dei Comuni viaggino in parallelo ed a velocità differenti e comunque in modo ancora molto distante da quanto previsto dalla stessa DGR 740. E’ anche vero che in alcuni casi si evidenziano segnali interessanti di collaborazione e integrazione, in particolare in quelle situazioni dove il luogo di presentazione della domanda sia una realtà integrata come i Cead e, come si auspica che sia, anche il neonato Sportello Unico per il Welfare.
La paura di Anna è che la delibera (che di fatto è un segnale importante) rimanga “lettera morta”. «Ho contattato stamane la Asl -spiega – mi hanno detto che posso usufruirne ma mi hanno avvisato che presto cambieranno i criteri di accesso per l’assistenza, perché hanno ricevuto una marea di domande». Ma è sempre così?
SOLO NELL’ISOLA – La Regione Sardegna applica con successo dal 2000 la legge n. 162/1998. Lo fa attraverso la legge regionale numero 2 all’articolo 34 con il “Fondo per la non autosufficienza”:
Rientrano tra le azioni previste a carico del Fondo regionale per la non autosufficienza:
a) il potenziamento dell’assistenza domiciliare e delle cure domiciliari sanitarie;
b) il sostegno dei nuclei familiari nelle responsabilità di cura di persone non autosufficienti, in quelle
gravi;
c) le azioni di integrazione socio-sanitaria previste dal Decreto del Presidente del Consiglio dei
ministri 14 febbraio 2001 e dall’accordo Regione Sardegna – ANCI del 15 dicembre 2004;
d) i piani personalizzati per persone con disabilità grave di cui alla legge n. 162 del 1998;
e) il programma sperimentale ―Ritornare a casa‖ già previsto dalla legge regionale n. 4 del 2006,
articolo 17, comma 1;
f) il programma per la istituzione della rete pubblica delle assistenti familiari di cui alla legge regionale
n. 4 del 2006, articolo 17, comma 4;
g) gli interventi già previsti dalle leggi regionali a favore di soggetti con particolari patologie (LR n. 27
del 1983; LR n. 11 del 1985; LR n. 20 del 1997; LR n. 6 del 2004).
Nell’isola hanno già pubblicato la nuova Delibera di Giunta sui nuovi piani L.162 per il 2014. E qui, sul sito AbcSardegna, si possono leggere le esperienze positive dell’applicazione:
Per noi familiari poter prendere parte ai benefici della L.162/98 è stato di grande aiuto, infatti, l’educatrice e l’assistente aiutano noi genitori nello svolgimento dei programmi stabiliti utili per il raggiungimento dell’autonomia personale e sociale di nostra figlia e questo aiuto ha permesso a tutti noi di ritrovarci. Ora la madre si adopera anche nelle svolgimento di altre mansioni fondamentali per l’organizzazione familiare. Ma il risultato più importante è quello di essere riusciti a trovare uno spazio per ascoltare e parlare con gli altri figli, godendo di maggiori momenti di libertà. La famiglia si sente più tranquilla nel poter constatare che grazie alla continuità giornaliera del servizio delle operatrici la figlia ha imparato a fidarsi di altre persone.
Senza fondi i contributi scarseggiano e quindi se Maometto non va dalla montagna, il disabile va alla Rsa. Ma il cammino per accedere ad un letto non è semplice e nemmeno economico.
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RSA, DEROGHE E FAR WEST – Cosa sono le Rsa? Si tratta di Residenze Sanitarie Assistenziali, presidi che danno a soggetti non autosufficienti, anziani (e non) un medio livello di assistenza medica, infermieristica e riabilitativa. Una sorta di strutture alberghiere con assistenza gestite sia dalle Regioni che dalle province autonome. Il trattamento può essere anche “permanente” e all’interno vi opera un medico, personale infermieristico h24, addetti alla riabilitazione, nonché assistenti ed animazione. Per accedere alle Rsa è necessario compilare un modulo dal medico generale e presentare il tutto all’ufficio RSA e Residenzialità Riabilitativa locale. Non tutti però ne possono usufruire. A disporre i ricoveri è l’unità di valutazione distrettuale, responsabile anche di eventuali proroghe del “soggiorno”. E i costi? Una parte sono a carico del paziente il cui prezzo varia da regione a regione. Qui per esempio il numero di letti disponibili nel Lazio. Per avere per esempio il contributo comunale il paziente deve avere un reddito inferiore ai 13 mila euro (qui come fare). Nel Lazio in base ai D.G.R. 98/2007 e D.G.R. 173/2008 la diaria giornaliera è fifty fifty: ovvero 50 per cento a carico del Fondo sanitario nazionale e 50 per cento a carico del paziente (che può esser sgravato tramite contrbto comunale e rimborsi regionali). Non sempre però retta e soggiorno sono rosa e fiori. L’Aduc (Associazione per i Diritti degli Utenti e Consumatori) denuncia da tempo una certa irregolarità e far west dietro il settore:
La legge ISEE prevederebbe, infatti, che le rette di ricovero in Rsa siano pagate per il 50% dal SSN e per il restante 50% dai Comuni con l’eventuale compartecipazione dell’utente. Cio’ non accade in molti comuni d’Italia. Le stesse istituzioni, poi, consentono con apposite convenzioni, alle Rsa di operare con propri contratti di fideiussione che vengono imposti e fatti sottoscrivere ai parenti degli assistiti, al momento del loro ingresso in struttura. Riteniamo che questi “contratti” siano nulli, annullabili e in frode alla legge. Alcune regioni, poi, sono ricorse ai ripari, approvando leggi che derogano al quadro normativo in favore delle casse dei comuni e delle asl, scaricando sull’utenza e sui parenti i costi delle prestazioni di ricovero in Rsa. E’ il caso della legge regionale Toscana n. 66/2008 e della legge regionale del Veneto.
Una indagine condotta da Auser , risalente a novembre 2012 non mostra dati confortanti. Operatori non inquadrati adeguatamente e lunghe liste di attesa per un letto. Circa il 45% dei responsabili di Rsa dichiara l’esistenza di liste di attesa. Si aspetta di più al Nord Italia (46,3%) che Sud (48,3%) mentre rimane più basso il dato sulle strutture nel Centro Italia (39,4%). Costi? In aumento. Su un campione di 1.280 RSA nel 2007- giugno 2012 gli importi medi richiesti sono saliti a più 18,5 per cento per la retta minima e più 12,8 per cento per la retta massima. Si tocca una media tra i 52 e i 60,5 euro al giorno, con punte più alte in Campania, Piemonte, Lombardia e Sicilia. Ancora più aggiornato è il quarto rapporto di Network Non Autosufficienza. Dalla parte dei malati c’è il Comitato 16 novembre che da tempo segue la campagna “Restare a casa”. In tal merito serve ricorda la lotta di Raffaele Pennacchio, malato di Sla e parte del direttivo dell’associazione, morto dopo aver protestato davanti al Mef:
Raffaele Pennacchio, aveva partecipato sia al presidio sotto il Ministero dell’economia, la notte precedente, sia all’incontro con il governo. «Raffaele si è battuto per accendere i riflettori sull’assistenza domiciliare ai disabili gravi e gravissimi che hanno diritto a restare a casa con dignità e a cure amorevoli. Chi meglio di un familiare può assistere un congiunto malato grave? – spiega Lamanna- Ieri, nonostante la stanchezza, al tavolo con il governo rappresentato dal viceministro del Lavoro e delle politiche sociali Maria Cecilia Guerra, dal sottosegretario all’Economia e alle Finanze Pier Paolo Baretta e dal Sottosegretario alla Salute Paolo Fadda, Raffaele continuava a dire, ‘fate presto, noi non abbiamo più tempo’».
«La Lombardia, dopo la Sardegna, sta provando ad attuare ciò che non è stato garantito per anni. Spero semplicemente che venga garantito un diritto basilare, un diritto che ci è stato negato per troppi anni», spiega Anna. Secondo i dati forniti da Lombardia sociale un soggiorno in una Rsa va dai 1700 ai 2 mila euro mensili. A casa l’assistito, oltre ad esser circondato dai famigliari e amici, avrebbe un vantaggio economico non indifferente, così come casse dei comuni e delle regioni. Grazie alla lotta di Raffaele e tante altre persone il governo si è impegnato ad aumentare i fondi per le cure domiciliari, soldi prima destinati a finanziare le Rsa. Ora manca solo un passo, la loro corretta applicazione. Niente più.