Dove le farmacie sono liberalizzate (e le medicine sono finite)
24/01/2012 di Tommaso Caldarelli
Di tutte le misure di apertura, quella sulla politica delle medicine in Grecia ha creato perplessità e problemi
Andare a toccare il comparto delle farmacie non è mai una scelta facile, perché la questione è, in generale, abbastanza delicata. Riformare gli ordini degli avvocati, o dei notai, piuttosto che andare ad aumentare i prezzi della benzina, aprire il mercato dei taxi, non ha come rischio semi-immediato quello di causare rischi alla salute. E invece, le farmacie non sono negozi come tutti gli altri, non vendono pane e burro, ma merce dalla natura molto particolare come i farmaci. Farmaco, un nome greco che, come è noto, vuol dire sia “medicina”, che “veleno”: e proprio in Grecia ci dirigeremo, ma fra un attimo.
LA RIVOLTA DEI FARMACISTI – Prima, partiamo dall’Italia. L’Italia dove il governo di Mario Monti ha dato attuazione a quella che del presidente del Consiglio dei Ministri è sempre stata la linea programmatico-politica sulle professioni italiane: “Ci sono troppi monopoli, troppe regolamentazioni”. Il mercato non è aperto, quello dei farmacisti meno che mai: e, dicono le associazioni di categoria, un motivo c’è. Perchè aprire il mercato, aprirlo alla concorrenza, sempre secondo le associazioni dei farmacisti, non è una buona idea: nonostante le farmacie siano esercizi di pubblico servizio, a loro modo, sono anche imprese commerciali che devono chiudere il mese in attivo, o almeno non in perdita. Averne di più significa stimolare la concorrenza, per natura stessa del mercato ad un aumento di offerta i prezzi si abbasseranno e quindi, o i margini di profitto dei farmacisti (molto alti, a quanto si sa, almeno per i titolari di licenza: capitolo a parte, questo, che affronteremo) si abbasseranno, o bisognerà vendere più medicinali. Inondando la penisola di pillole, farmaci e pastiglie, invertendo quella (morigerata) cultura del farmaco che ha sempre caratterizzato l’utenza italiana, sempre secondo il punto di vista di chi farmacista lo è già, e che quindi è naturalmente interessato a mantenere l’esistente. Il governo ha scelto diversamente, ha scelto di aprire – vedremo in maniera quanto netta – il mercato farmaceutico, mettendo a gara nuove licenze e riscrivendo, in parte, l’ordinamento delle farmacie, che nel nostro paese sono contingentate: per aprirne una, è necessario individuare una fetta di mercato non occupata da un altro esercizio.
LA MOSSA DEL GOVERNO – Con il decreto liberalizzazioni messo in pista dal governo Monti, questa situazione è in parte cambiata, come scrive il Sole 24 Ore.
Avremo una farmacia ogni 3mila abitanti con l’apertura di almeno 5mila nuovi esercizi , che saranno assegnati con concorsi straordinari da bandire entro fine giugno. Nelle Regioni che non lo faranno arriverà un commissario ad acta per piante organiche e procedure concorsuali. Le nuove sedi saranno riservate a farmacisti non titolari che potranno concorrere anche per la gestione associata sommando i punteggi per i concorsi. Incentivi ai piccoli Comuni per aprire sedi «non appetibili». Potranno concorrere anche i parfarmacisti che si vedranno riconosciuto un punteggio non inferiore al 70% rispetto all’attività svolta nelle farmacie, ma anche i farmacisti che lavorano nelle asl e nel ministero. Per le farmacie scatta la liberalizzazione di orari e turni di servizio. Ma non solo. Potranno praticare sconti (oggi già previsti per i prodotti da banco e per quelli indicati da Aifa e ministero della Salute che usciranno dalla classe C con ricetta) anche sui farmaci di classe A pagati dai cittadini senza la ricetta del Ssn. Aumenterà l’organico (dunque, nuovo assunti) nelle grandi farmacie.
Avere una farmacia ogni 3mila abitanti vuol dire abbassare non di moltissimo l’attuale rapporto esercizi/popolazione (dati Federfarma), consentendo appunto l’apertura di 5mila nuovi esercizi da affidarsi ai giovani farmacisti, regolarmente laureati, ma che non possono dirsi pienamente farmacisti perché – grazie al contingentamento delle licenze, tutto ciò che possono fare è essere dipendenti di una farmacia, di un farmacista in possesso di licenza e dunque abilitato a mettere il proprio nome vicino alla croce verde luminosa. In parte, il mercato è già stato aperto con l’apertura delle parafarmacie – quelle che possono vendere i medicinali da banco – che hanno consentito a giovani laureati di combinare qualcosa di diverso, di vivere da liberi professionisti. L’Ordine dei Farmacisti conta 80mila iscritti, scrive Franco Stefanoni nel suo libro “I Veri Intoccabili”; le farmacie in Italia sono 17.796 (dati sempre da Federfarma), il che vuol dire che per ogni esercizio attualmente aperto ci sono impiegati almeno 5 farmacisti, fra il titolare e i dipendenti; se tutte le farmacie volute dal governo Monti venissero aperte, il rapporto scenderebbe drasticamente, arrivando a 3,5 farmacisti per ogni esercizio aperto. Considerando che, in teoria, ogni farmacista abilitato è in grado – ripetiamo: teoricamente – di vendere tutti i farmaci commerciabili, essendo in possesso di laurea ed abilitazione, si tratta di un’apertura del mercato non indifferente.
IN GRECIA – C’è chi ha fatto una scelta ancora più radicale, in verità, di quella del governo Monti. E non è andata benissimo, a guardare i risultati: se torniamo alla tabella di Federfarma vediamo che il paese che ha il più basso rapporto farmacie su abitanti è la Grecia. La Grecia che ha inventato il termine farmaco, e l’intrinseca contraddizione che lo accompagna (fa bene, fa male, un confine sottile) , ha una farmacia ogni 1.185 abitante, praticamente un terzo della media europea. Effetto, questo, della liberalizzazione integrale voluta dal governo di Georges Papandreou nel 2010, impegnato, il leader socialista, a gestire la patata bollente ed esplosiva del debito greco, andata ormai fuori controllo. La rabbia dei farmacisti esclusi dal mercato ellenico veniva raccontata dal New York Times, ormai 2 anni fa, e sembra un racconto preso da una qualsiasi città italiana. “Antonios Avgerinos, 59 anni, è un farmacista militare in pensione, e ha sempre voluto il suo esercizio”, scrive il giornale della grande mela. “Perché no? La legge greca assicura ai farmacisti un margine del 35% su tutti i medicinali, anche quelli da banco. Ma la legge greca limita le farmacie più di ogni altra. Devono essere a 250 metri l’una dall’altra, e avere un mercato potenziale non minore di 1500 cittadini. Per entrare nel mercato, un farmacista deve generalmente comprare una licenza da un collega che va in pensione, il che spesso costa anche 400mila dollari”. Il nostro Antonios commenta: “E’ un sistema assurdo”; non dissimile per impostazioni, sebbene analogo nei dettagli, a quello italiano. Come non dissimile era la situazione di partenza, sulla quale il governo Monti si è trovato ad agire: “La Grecia è l’ultima economia sovietica in Europa”, diceva Yannis Stournaras, un economista e direttore della Foundation for Economic and Industrial Research, un think tank greco. “Altri paesi hanno sistemi a professioni chiuse. Ma mai come la Grecia. Anche per tirare una pietra ci sono regole. Per vendere un farmaco anticancro da 4200 dollari, racconta Stournaras, “un farmacista fa un profitto di 1400 dollari. Un movimento di gomito più costoso di quello di Roger Federer”, spiega, con una metafora evocativa. Insomma, un mercato ben più ingessato del nostro (un rapporto europeo descriveva la Grecia come il sistema farmaceutico più regolato del continente, con il nostro a seguire); che è stato liberalizzato però ben più del nostro.
LA RIFORMA – Prendiamo da Wikipedia la situazione attuale.
Il laureato in farmacia può iniziare la sua carriera dopo la laurea. Non c’è bisogno di licenza. I farmacisti che vogliono aprire una farmacia, lavorare negli ospedali o nelle organizzazione nazionali devono superare con successo esami organizzati dal ministro della salute, per ottenere una licenza di pratica farmaceutica.
E questa la riforma approvata dal ministero nel 2011.
Mentre il consiglio dei ministri approvava il provvedimento di carattere generale, il Ministro della Sanità, Andreas Loverdos, presentava già in Parlamento un separato disegno di legge relativo all´apertura della professione dei farmacisti che prevede: cambiamenti dei criteri che legano l´apertura di una farmacia alla densità di popolazione, ampliamenti degli orari e dei giorni d´apertura e la possibilità di aprire farmacie anche a distanza di 200 metri da ospedali e centri sanitari.
Revisione dunque del rapporto popolazione/esercizi e delle distanze, con conseguente impennata dei punti vendita che, come abbiamo visto, hanno portato il tasso di farmacie in Grecia ad un terzo della media europea. Stando alle voci di vari commenti di utenti della rete, in Grecia “dopo aver liberalizzato tutto, si sono resi conto dell’ errore e sono anni che stanno cercando di ritornare allo stato antecedente”. Una affermazione, questa, che ritrae con un colore sufficientemente adeguato quel che è successo nel paese ellenico dopo le riforme del governo Papandreou. Più farmacie, più concorrenza nel settore, meno profitti; il governo ha reagito alla crisi conseguente al provvedimento, abbassando artificialmente i prezzi di vendita imposti dallo stato alle farmacie.
GLI ESITI – In breve, come raccontavamo, se si chiede un’aspirina ad un farmacista greco, oggi lui potrebbe mettersi a piangere.
Anche se le medicine sono disponibili, i farmacisti molto spesso non possono venderle ai clienti”, scrive Bloomberg. “Le ragioni sono complesse. Una delle cause è il governo greco, che fissa i prezzi per le medicine. Come contropartita per tagliare i costi, la Grecia ha imposto prezzi più bassi lo scorso anno”, ma come spesso succede, questa decisione “ha comportato la crescita di un mercato secondario, perché i grossisti preferiscono vendere all’estero a prezzi più alti di quelli che riescono ad ottenere in Grecia”: e visto che il prezzo imposto dallo stato greco è “fra i più bassi d’Europa”, la convenienza a vendere per il mercato interno è praticamente zero: “Persino i polacchi pagano un’aspirina più che in Grecia”. Il problema, dunque, si trasferisce presso i grossisti, perché la grande distribuzione lamenta “la mancanza di liquidità, visto che gli assicuratori pubblici ritardano i pagamenti alle farmacie, che così non possono pagare i fornitori”. E “i grossisti”, molto semplicemente, “non hanno più soldi per fare credito alle farmacie”. Parliamo di 330 milioni di euro di credito che il settore pubblico non sa rimborsare alle farmacie del paese, che così, invece di attendere il pagamento dal Servizio Sanitario Nazionale, iniziano a pretendere il pagamento immediato dal cliente: “Dicono, poi ti rimborserà lo stato, un giorno”, lamentano le associazioni dei malati.
Più farmacie, meno profitti; il tutto accoppiato all’imposizione verticale da parte del governo del prezzo del medicinale (come d’altronde accade in Italia), uguale mercato morente, e un fiorente mercato parallelo che evita i paesi con un mercato poco competitivo. A dimostrazione di come il settore farmaceutico sia fra i più delicati fra quelli sul mercato. Esperimenti di liberalizzazione pesanti in paesi anche più ingessati del nostro hanno portato a risultati non incoraggianti. Un esito possibile da tenere sotto stretto controllo anche da parte del governo italiano; di diverso avviso il neo-insediato governo greco che, proprio in questi giorni, ha proposto una nuova liberalizzazione del sistema farmaceutico, che dia nuova spinta, nuovo vigore, a questo settore. “Farmacie chiuse questo pomeriggio ad Atene in segno di protesta contro la decisione del governo di liberalizzare anche il loro settore”, scrive l’Ansa. “L’agitazione e’ stata indetta dalla Societa’ Farmaceutica Panellenica che rappresenta i farmacisti e coincidera’ con l’inizio della discussione in Parlamento degli emendamenti alla “derelegulation” degli orari di lavoro delle farmacie. Il governo ha suggerito che i farmacisti siano liberi di decidere gli orari di apertura e chiusura dei loro esercizi commerciali e, se lo vogliono, di tenerli aperti anche il sabato e la domenica. Il sindacato dei farmacisti, pero’, si oppone sostenendo che orari di lavoro troppo lunghi sono stancanti e la stanchezza potrebbe far commettere errori ai farmacisti quando forniscono medicine ai clienti”. Scelta, ancora una volta, delicata.