E’ possibile rianimare i morti?

In teoria sì: basta che le cellule restino in vita

E’ possibile rianimare un morto? Se lo chiede Livescience.

MORTA? NO – Nel 1999 una studentessa di medicina svedese, Anna Bagenholm, a seguito di un incidente rocambolesco incidente sugli sci rimase bloccata 40 minuti sotto uno spesso strato di ghiaccio. Quando i soccorsi la estrassero, il suo cuore aveva smesso di battere. Dopo tre ore e 55 minuti dall’incidente, quindi dopo tre ore e un quarto dal recupero, il cuore ripartì, e la ragazza si rimise completamente. Anna era clinicamente morta. Il suo sistema cardiaco è rimasto spento per più di tre ore, così come il suo sistema respiratorio. Eppure è tornata a vivere. Ma cosa è successo al suo corpo, ai suoi tessuti, alla sua coscienza, in quelle tre ore senza battito cardiaco?

COME FUNZIONANO LE CELLULE? – Secondo il dottor Honglin Zhou, professore di medicina d’urgenza all’Università della Pennsylvania, esistono delle prove inconfutabili che provano la morte delle cellule. Ogni cellula ha una membrana esterna che serve per separare i suoi contenuti dall’ambiente circostante e filtrare le molecole che sono non essenziali perla funzione o sopravvivenza. Quando una cellula è prossima alla sua fine, succede una di queste tre cose: la cellula in questione manda il segnale “mangiami” a una cellula speciale che divora e ricicla il contenuto della trapassata; va automaticamente in quarantena e si suicida; si spacca disperdendo il suo contenuto sul tessuto circostanze causando danni e infiammazioni.

IL CASO DELLE CELLULE CEREBRALI – In ogni caso, quando la membrana si rompe, la cellula muore. Per questo motivo è tecnicamente impossibile generare un nuovo Frankenstein ma si può rallentare la morte. Le cellule possono sopravvivere anche diversi giorni senza l’afflusso di sangue e ossigeno, e finché i dottori possono recuperare i pazienti con le cellule intere, la rianimazione è possibile. Allora perché si muore? Perché le prime a soffrire della mancanza di sangue e ossigeno sono proprio le cellule del cervello. Con 10 minuti di arresto cardiaco queste si rompono, e il tessuto cerebrale viene irrimediabilmente danneggiato.

COME SI RISOLVE UN ARRESTO CARDIACO – Secondo il dottor Zhou, quando le cellule perdono sangue e ossigeno, vanno in una sorta di “ibernazione metabolica”, così da preservarsi. Quando poi si raggiunge il limite critico di tossicità si autodistruggono. Allora in tutto questo come ha fatto Anna a salvarsi? Semplice, si fa per dire. La sua “bara di ghiaccio” ha raffreddato il suo corpo fino a far scendere la temperatura a 13 gradi. In questa maniera il cervello e le sue cellule sono sopravvissute. Si tratta di una strana tecnica, non del tutto compresa, che aiuta i pazienti colpiti da attacco cardiaco a recuperare funzionalità. Spesso i paramedici iniettano nelle vene dei malcapitati una soluzione refrigerante che abbassa la temperatura del corpo a 33 gradi, rallentando così la morte cellulare. Cara falce, puoi aspettare.

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