Enzo Iacchetti: “Giorgio Gaber, l’antesignano dei Grillini”
18/03/2015 di Boris Sollazzo
“Il rapporto con Giorgio Gaber nasce da quando rubavo i soldi ai miei genitori per andare a vedere i suoi spettacoli. Poi l’ho conosciuto davvero negli anni ’90, quando dopo le sue performance andavo nel suo camerino e parlavamo. Lui mi guardava al Maurizio Costanzo Show, io lo adoravo da anni. E siamo diventati amici”. Enzo Iacchetti è così, disarmante e candido, sincero e capace di regalare con poche parole un’istantanea unica e ricordi speciali. Se lo conoscete solo come conduttore di Striscia la notizia è un peccato. E’ vero che in tv ha iniziato da Maurizio Costanzo come guastatore gentile, ma è a teatro che dà il meglio. Soprattutto se porta l’amico e idolo sul palco. Lo fa rivivere in parole e note con Chiedo scusa al signor Gaber, musica e testi dedicati e ispirati (d)a quel geniaccio perfido e arguto, al Salone Margherita fino al 29 marzo. Enzo parla a Giornalettismo. E dice la sua anche su molto altro.
Da dove nasce questo spettacolo?
Da un album del 2010 in cui reinterpretavo Giorgio Gaber. Allora non c’era l’intenzione di fare uno spettacolo teatrale, ma dal momento che andò molto bene ho pensato a un omaggio sul palco. Volevo però che fosse qualcosa d’originale, perché reinterpretarlo voleva (e vuol) dire esporsi a un confronto perdente fin dall’inizio. E allora ho stracciato gli spartiti delle sue prime canzoni per inserirvi delle contaminazioni: qui trovi Cerutti Gino, Barbera e Champagne, Shampoo con Jovanotti o Zucchero dentro. Un lavoro di precisione fatto con i miei musicisti, la Witz Orchestra, e il maestro Marcello Franzoso al pianoforte, che piace molto al pubblico. E in mezzo monologhi sull’attualità, come nella tradizione del teatro-canzone. Li scrivo io con i miei autori. E’ uno spettacolo di Iacchetti che usa Gaber per fare Iacchetti.
Non solo Giorgio Gaber però. Dentro lo spettacolo lei fa un tributo bellissimo a un’altra icona di quel modo anarchico e libero di fare arte e musica
Sì, c’è anche un omaggio a Jannacci. Non ho fatto alcuna scuola, ma volevo rendere onore ai miei due maestri, che hanno anche lavorato insieme, nel gruppo, nel duetto JaGa Brothers. E allora mi produco anche in un monologo di Enzo a cui ho assistito personalmente. E avendo la fortuna di saperlo imitare bene, lo riporto come avvenne. E il pubblico si diverte, da 120 repliche, da matti.
Chi era Giorgio Gaber, secondo lei?
Ora farò inorridire qualcuno, ma secondo me è stato un antesignano del grillismo. Lui, però, era contro questo Sistema sociopolitico medievale, contro tutto e tutti, in un modo molto più dolce di Beppe. E poi sperava in un Rinascimento molto più immediato, che lui non ha visto, perché è scomparso troppo presto. Ma che neanche noi abbiamo ancora scorto. E ora non c’è più neanche la speranza, o quasi, che ciò avvenga: abbiamo cambiato bandiere e uomini (meno), ma la nostra sorte è rimasta la stessa. Ed è uno dei motivi per cui ho dovuto prendere il primo Gaber. Il secondo, vista l’Italia che ci troviamo di fronte, non potevo riportarlo tra noi.
A mio parere, però, in Io non mi sento italiano Gaber aveva intuito che l’Italia non sarebbe rinata. In quell’ultimo album, per la prima volta, c’è del nichilismo
E’ vero, hai ragione. Io non mi sento italiano sembra scritta ieri mattina. Non faceva più live e forse anche per questo nel disco lasciò un testamento politico molto amaro, più pessimista del solito.
A 62 anni fa teatro, tv e prova a esordire come regista di cinema. Dove la trova tutta questa energia e voglia di fare?
Non ho vizi, questa è la mia fortuna. Così i soldi che guadagno in tv li spendo a teatro, che credo sarà la mia pensione. Ci ho provato anche col cinema, ma è un mondo a parte che non mi ha mai accolto, una dolce mafia che si gestisce da sola. Da anni ho un soggetto, i diritti di un libro di Stella, Il pugile, la bambina e il canguro, sceneggiato da Ugo Chiti, con il Ministero che la considera opera culturale, ma non riesco a trovare chi la produca. Tutti leggono lo script, sono entusiasti, ma neanche in Vaticano hanno tirato fuori qualche soldo, sostenendo di non averne. E’ la storia di una bimba down abbandonata dai genitori e che viene cresciuta dai nonni. Il nonno è una sorta di Carnera, è un’opera alla Olmi, molto triestina, da parlare in dialetto e con sottotitoli. Un film da festival, per cui ci vorrebbero almeno 2 milioni di euro. Ne ho trovati solo 300.000 e sono sincero, sto perdendo le speranze. Non credo lo farò.
Ma lei non vada in Vaticano a parlare con i funzionari, si rivolga direttamente al Papa. Bergoglio ama il cinema, è un battutista e risponde a tutti
Ottima idea (sorride – ndr), grazie, gli scriverò. Sono convinto che se Papa Francesco leggesse la sceneggiatura, la adorerebbe.
Crede di pagare l’idea che si sono fatti di lei? Che in Italia un comico può fare sempre e solo il comico? O al massimo il politico?
Sì, è probabile. Ma non hanno capito che io non farei mai un film comico, ne ho rifiutati tanti nella vita. Invece questa sarebbe una grande sfida per me come regista, ma anche una bella opportunità per gli spettatori. Al di là del fatto che sia un mio progetto, francamente se una storia tratta da un libro di un genio del giornalismo e scritta e riadattata dal miglior sceneggiatore italiano, un lavoro che piace a tutti coloro che lo leggono, non trova finanziamenti, qualcosa non va in questo Sistema. Il fatto è che le banche fanno con il cinema quello che fanno con le persone: per avere un mutuo devi dimostrare di non averne bisogno, e allo stesso modo per farti sostenere un film, devi dimostrare che sia un investimento sicuro. E il mio progetto, invece, è considerato a rischio. E sì che le banche han parecchio da farsi perdonare: fare un film bello, che magari potrebbe vincere un festival, produrre un’opera difficile potrebbe essere uno dei modi con cui “ripulirsi”. E hanno pure il tax credit, che quel rischio già lo abbassa molto. Potrebbero e dovrebbero scommettere anche su chi non ha incassi sicuri, insomma. Ma gli istituti bancari anche nella cultura vogliono una resa con ricchi interessi: prendono dallo Stato e dai cittadini, senza restituire. Sono quattro anni e mezzo che giro a chiedere la carità per fare un film, anche gli industriali fanno orecchie da mercante. Credo che non lo farò mai questo lungometraggio.
Lei però alle imprese impossibili ci crede. Ha preso la direzione del Salone Margherita di Roma. Come sta andando?
Quel teatro da cinque anni è sepolto. E io ho accettato di dirigerlo, con l’aiuto decisivo del patron Nevio Schiavone e del collaboratore artistico Demo Mura, senza alcun compenso ma pretendendo di dare una mia linea precisa alla programmazione. E’ difficile riempirlo anche con spettacoli di richiamo e molto belli. Ma è normale, qui nel recente passato si facevan soldi solo con la lirica per i giapponesi e il Bagaglino. E io il Bagaglino, quel tipo di comicità, non li voglio più. E’ un tipo di umorismo sorpassato e vecchio. Certo, ora dobbiamo ricostruire il nome, non si potrà guadagnare da subito come qualcuno sperava e facendo sapere a tutti che non ci saranno più le soubrette con le chiappe di fuori.
Imporre una linea di qualità ha un prezzo, sempre. Ma se si ha pazienza, non ci si pente di una scelta del genere.
Il prossimo futuro di Enzo Iacchetti?
Arriveremo a 140 repliche di questo spettacolo, poi mi dedicherò al mio, quello che sto scrivendo. Ma prima che veda la luce, nel 2016, tra gennaio e aprile, porterò sul palco una pièce con Giobbe Covatta. Abbiamo scovato il copione in Danimarca ed è la storia di due matti che vengono portati dai servizi sociali in un appartamento in città per tornare alla normalità. A cui però, forse, loro non sono pronti. E’ un dramma in chiave comica, sensibile e divertente, volevamo qualcosa che facesse ridere ma anche pensare. Su quello che sto scrivendo io, dico solo che si chiama Il grande dubbio e ho l’ambizione di poter scrivere e recitare le cose che Giorgio avrebbe interpretato, se fosse vivo, nel suo ultimo spettacolo. Parlerà d’amore, amicizia, fedi religiose e soprattutto di quella solitudine con cui l’uomo moderno si sta infilzando. Ma è troppo presto per anticipare altro.
La vedo davvero in gran forma. Pieno di idee. E’ un bel periodo per lei questo, vero?
Sì, è un periodo fertile, mi sento molto vivo artisticamente, forse perché sento il tempo che va molto più veloce con l’età che avanza: tre giorni di vacanza mi sembrano troppi, dopo uno devo leggere, scrivere, immaginare un progetto. Così allontano ciò che più mi fa paura: la vecchiaia.
I comici rimpiangono l’Italia di Berlusconi, che almeno offriva materiale per le loro gag. Lei come trova il nostro paese oggi?
E’ un’Italia poco divertente. Ma per me lo era pure prima, la politica non l’ho mai trovata tale, per me è sempre stata difficile e ostica. E sai perché? Nessuno, o quasi, l’ha mai fatta, in questo paese, amandola e servendola: così ci dicono che stiamo cambiando verso ma siamo costretti ad assistere allo spettacolo avvilente di un ministro attaccato alla sedia nonostante ciò che ha detto e fatto in altri paesi farebbe cadere governi interi, o al 10% dei grillini che hanno cambiato casacca. E pure a un Renzi che mi sembra soprattutto un uomo fortunato ma che non mi dà risultati veri: lui in tv ci dice che va tutto bene, il giorno dopo la banca europea dice che non è così e i giovani che incontro sono disperati. Poi giro per Milano e vedo che il padiglione italiano è ancora vuoto e non finito e mi chiedo dove mangeranno i giapponesi che arriveranno. Al ristorante giapponese, probabilmente.
Mi sembra di intuire, però, che lei ha fiducia nel Movimento 5 stelle. O che almeno ne avesse. Ora cosa pensa del loro modo di fare politica?
Ho fiducia in loro e ce l’ho ancora. E mi piace che ora cerchino, mi sembra, un dialogo con le altre formazioni. Delle riforme tutti insieme si potranno fare, anzi si dovranno fare, per il bene del paese. Francamente non amavo la loro mancanza di pacatezza precedente, quella chiusura a priori che ci ha fatto perdere del tempo. Ma i grillini ci volevano, sono persone pulite che si accontentano di uno stipendio normale, che si muovono su due ruote e magari non con il taxi, che non contribuiscono al nostro deficit monstre con i soliti sprechi a cui la politica ci ha abituato.
E poi tagliandosi lo stipendio pare abbiano messo da parte 10 milioni di euro. Gliene chieda uno e mezzo per il suo film!
(Ride di gusto -ndr). Lo chiederò a Beppe, ma da bravo ligure mi dirà “metticeli dei tuoi”. E poi quei soldi servono a mantenere le loro tante ottime iniziative, mica fanno le feste dell’Unità con le salsicce per poi mantenere il partito. Hanno altri problemi rispetto a quelli di tenere in piedi l’apparato. A me piacciono i De Maio che vanno in Parlamento, con la costanza di un lavoratore scrupoloso, guadagnando meno di un funzionario di banca e che ogni giorno cercano di migliorare il loro paese, corretto e non corrotto. Una scelta che apprezzo. Non so se li rivoterò, ma credo di sì. Apprezzo la loro coerenza e il loro rigore.
Parafrasando un film del 2003 in cui c’era anche lei, di Massimo Martelli, qual è per Enzo Iacchetti Il segreto del successo?
Ho sempre studiato tanto. Suono 7 strumenti, da quando ho 9 anni imparo qualcosa. E non smetto, a ogni impresa mi rimetto sotto. Senza paura di ricominciare, di prendere bastonate, di aspettare e fare sacrifici, come ho fatto a lungo e faccio tuttora.
Ed è necessario intuire quando arriva l’occasione giusta. Per me fu prendere il treno di Costanzo, dove non volevo andare! Poi ho cambiato idea – e devo ringraziare il fatto che è una mia prerogativa modificare le mie vedute se serve a migliorare – e ho trovato un modo di stare dignitosamente là. Come avviene con Striscia: non potrei fare altro in tv, ma lì mi sento a mio agio, trovo che sia ancora una trasmissione importante e bella. E spero di esserci il prossimo anno, anche per più tempo del periodo limitato per cui mi hanno chiamato nel 2014. La mia fortuna è che non sono avido, né ho mai voluto diventare famoso in tv: l’unica ambizione che ho è di fare bene il mio lavoro. E di farlo con gli standard alti che mi impongo ovunque. In tv, in teatro e, speriamo, anche al cinema.