Europei basket 2015, Aru, Pennetta e Vinci: non ce li meritiamo
10/09/2015 di Boris Sollazzo
EUROPEI BASKET 2015, ITALIA AGLI OTTAVI –
Siamo tutti cestisti. Fra un po’ scriveremo #jesuisgallinari, disquisiremo di quintetti base e bombe da tre per qualche giorno, continueremo a scordarci che la gloriosa squadra della Capitale si è dovuta autoretrocedere in b e che Bologna ha fatto fallire la Fortitudo (immaginate la Juventus che fa questa fine nel calcio) e ha visto cadere e risorgere la Virtus, per rinnegare i nostri eroi alla prima sconfitta.
A noi piace così, salire sul carro dei vincitori e scendere in fretta. Ora abbiamo tutti nel cuore la faccia concentrata del Gallo, quella bonacciona del Beli e pure il cuore del colosso Bargnani. Neanche pochi giorni fa li attaccavamo per la sconfitta all’esordio contro la Turchia.
TENNIS, PENNETTA E VINCI IN SEMIFINALE A FLUSHING MEADOWS –
E che dire di Pennetta e Vinci? Sono anni che tengono alto, con la Errani, il movimento tennistico italico con grandi risultati individuali e di squadra nella Fed Cup. Hanno talento e grinta, ma ci ricordiamo di loro solo quando riescono in imprese negli slam, salvo ogni tanto piazzare Flavia sulle pagine di gossip. Eppure questa disciplina, nobile e appassionante, rimane una questione di èlite, con circoli costosissimi che vampirizzano gli iscritti, spesso altoborghesi allenati da ex presunti campioni.
Il punto è che noi non ci meritiamo i campioni che abbiamo. Neanche un po’. I nostri fenomeni devono sperare in amministrazioni locali illuminate, altrimenti lo Stato non assicura loro neanche i più elementari strumenti per praticare il loro sport. Non basta la struttura militar-sportiva (dalle Fiamme Gialle a tutte le altre armi che prevedono inquadramenti per gli atleti di livello) come supporto: il CONI è inadeguato e il paese ha ovunque impianti sportivi vetusti e inadatti, l’educazione fisica a scuola è bistrattata e affidata alla buona volontà di professori con palestre imbarazzanti, tutto è volto a salvare (male) l’eccellenza e a trascurare la pratica di massa. Quando le cose vanno bene lo sport è un medaglificio, quando va male un peso da sopportare, un lusso (si veda l’indegno trattamento rivolto a Berruto nella pallavolo o a Maddaloni nel judo). Eppure non c’è nulla di più formativo dell’attività sportiva: la vittoria nelle grandi competizioni inorgoglisce, ma affrontare certe discipline con impegno e correttezza rende migliore un popolo.
Non ci meritiamo il coraggio di Aru, la tenacia delle nostre tenniste, un Clemente Russo la cui nuova qualificazione olimpica è stata ignorata nonostante sia uno dei più grandi campioni mai salito su un ring, quei giocatori di pallacanestro che buttano il cuore oltre l’ostacolo, anche con tiri da tre, in sospensione o subendo fallo, come mai hanno fatto i nostri calciatori.
OLTRE IL CALCIO, NIENTE –
Che però hanno tutta la nostra attenzione. Eppure la professionalità, la costanza, l’attaccamento alla maglia sono, sul rettangolo verde, un optional proprio di pochi protagonisti, non a caso trattati come mosche bianche. Ma noi convogliamo le nostre finanze verso uno sport che contribuisce a peggiorare la nostra identità comune e tira fuori i nostri peggiori istinti. E senza, neanche in quel caso, incoraggiare la pratica di base. Le squadre giovanili sono un coacervo di meschinità, corruzioni (il nepotismo e la raccomandazione fanno sì che in prima squadra arrivino meno giocatori che nel resto d’Europa) e comportamenti diseducativi, mentre il movimento dilettantistico è disastrato.
Ma ora siamo tutti Pianigiani. Tutti allenatori di basket, tutti esperti della palla a spicchi, tutti pivot mancati. State tranquilli: dovessimo pure vincere una medaglia, non faremo nulla per riempire i nostri quartieri di periferia di playground, ottimo modo anche per evitare la vita di strada a molti emarginati. No, i più spudorati tra di noi attaccheranno magari quelli della Nba perché si sono montati la testa, gli altri al massimo compreranno un paio di biglietti per le prossime partite della squadra di casa.
Quindi, ragazzi, grazie delle gioie che ci date. Ma ricordate bene che non vi meritiamo. Non ci cascate, già domenica prossima staremo seguendo di nuovo milionari viziati che se giocassero come voi una volta al giorno sciopererebbero e si dichiarerebbero vittime di un complotto della Cia per ucciderli. Loro, così attenti ai loro diritti, ma incapaci, per dire, di far qualcosa per i lavoratori che in Russia e Qatar vengono sfruttati e muoiono per fare gli stadi in cui si giocheranno i prossimi mondiali. Di cui loro si lamenteranno, nella stagione successiva, “perché hanno giocato troppo negli ultimi mesi”.
Detto questo oggi con la Serbia fateci sognare e andate il più avanti possibile: se anche solo una dozzina di bambini sceglieranno la pallacanestro come sport grazie a voi, avrete comunque vinto.