Il Giornalismo è in pericolo, ma non morirà
17/05/2016 di Redazione
L’ultimo scandalo dei trending topics pilotati dai curatori di Facebook, accusati di sopprimere le fonti di notizie più conservatrici, lo dimostra ancora una volta: nel web che conosciamo oggi non c’è quasi niente di oggettivo. Tutto è congegnato in modo da adattarsi al nostro modo di essere, o almeno questa è la tendenza per il prossimo futuro.
Non sono oggettive le pubblicità che vediamo, i risultati di ricerca e le notizie che scorriamo sui social network, sia per come vengono selezionate al posto nostro dagli algoritmi, sia per il loro contenuto. Ed è così per quasi tutti i social adesso, Twitter e Instagram compresi.
Anche quello dei trending topics potrebbe far parte di uno dei mille esperimenti fatti e attualmente in corso, alcuni tra l’altro pubblicati su riviste scientifiche e sui blog ufficiali.
Ma non c’è da meravigliarsi, perché Facebook è un servizio gratuito, lo è adesso come lo sarà in futuro, e non c’è scritto da nessuna parte che debba avere la funzione di un servizio di pubblica informazione. Cioè che tratti tutti allo stesso modo o che debba mantenere la massima riservatezza interna sui nostri dati personali (che abbiamo ceduto di nostra spontanea volontà).
Se Facebook è così personalizzato sull’esperienza del singolo utente, perché non dovrebbe adattarsi anche all’intera collettività a cui si rivolge? Una gigantesca base utenti che, ricordiamoci, è arrivata almeno a un miliardo e mezzo di persone in tutto il mondo, e che ha ancora ottimi margini di crescita nei paesi in via di sviluppo. È composta per la stragrande maggioranza da giovani sotto ai 35 anni, i cosiddetti millennials, o generazione Y. Certo, essere un giovane millennial negli Stati Uniti è un po’ diverso dall’esserlo in Indonesia. Non soltanto perché i sopracitati trending topics sono disponibili solo negli USA e in pochi altri paesi in lingua inglese (nel resto del mondo si può avere accesso solo tramite strumenti come Signal, ad uso dei giornalisti).
Dicono anche che i millennials abbiano idee tendenzialmente più progressiste. Ad esempio non seguano, specie negli USA, le idee dei conservatori, perché sono ben informati e ispirati da valori caratterizzati da una maggiore apertura verso gli altri, figuriamoci se seguono le idee di personaggi più estremi come Donald Trump. I conservatori sono visti da questa generazione come i rappresentanti di un vecchio modello di leadership e di una visione della società in cui non si ritrovano. È così anche per l’Italia, basta guardare le percentuali nelle intenzioni di voto per i partiti sulle varie fasce d’età.
Quindi ecco l’idea di base: qualsiasi servizio sul web a scopo di lucro, per sopravvivere e prosperare, deve adattarsi alle persone che lo usano, altrimenti rischia di chiudere i battenti o di dover chiedere un aiuto economico alla sua community (un po’ come Wikipedia, uno dei simboli di internet vecchia maniera che offre un servizio utilissimo ma standardizzato per tutti).
L’intento del social network non è altro che offrire un prodotto di altissima qualità al suo pubblico.
Lo fa servendosi di strategie di marketing curate, che abbracciano l’intera popolazione online con valori importanti, come la trasparenza, l’uguaglianza, la condivisione e la collaborazione. Lo stesso Zuckerberg ha trasformato aspetti della sua vita in uno strumento di marketing, dall’abbigliamento all’apprendimento di una lingua come il cinese (uno dei mercati più promettenti per Facebook), così come altri grandi imprenditori prima di lui.
Solo così la comunità può crescere, solo così possono invogliare gli utenti ad usare nuovi servizi come i live video o le chat, solo così si possono inviare dei droni in Africa per offrire un servizio internet dove la rete non c’è. Se dovessero usare in comunicazione i valori promossi dai politici più conservatori immaginatevi che disastro ne verrebbe fuori, non sarebbero coerenti con il tipo di servizio offerto.
È plausibile quindi che Facebook intervenga in modo quasi editoriale sui suoi trending topics. Potrebbero forse chiamarli in modo diverso, ad esempio “argomenti selezionati” o “hot topics”. Non crediate però che quelli di Twitter siano più trasparenti. Nonostante siano scelti da un algoritmo è estremamente facile manipolarli, sono sufficienti un centinaio di tweet nel giro di una mezzora e il gioco è fatto.