Lavoro da sempre, se prendo un impegno lo onoro a qualsiasi costo, faccio tutto ciò che devo e anche di più, per non sbagliare, per non deludere. Per quattro pulciosi soldi, talmente pulciosi che non fanno in tempo a saltare dentro il borsellino che sono già saltati fuori. Il mio conto corrente è come un circo delle pulci, ma molto meno divertente. Cerco da decenni di sopravvivere nel circo delle pulci dei poveri, con risultati piuttosto alterni. Mi alterno tra l’insuccesso e il fallimento con una certa brillante nonchalance. Non ci sono sabati e domeniche: se c’è un dovere esso deve essere compiuto, esso viene prima di tutto. La mia vita fino a lunedì è stata così. Poi si è spezzato qualcosa. Ho fatto un due più due e il risultato è stato desolante: non ho ottenuto niente, non sono diventata niente, anzi sono meno di prima. Dicono che uno dovrebbe fare le cose che fa in primis per se stesso e poi per passione o viceversa. Non capirò mai come faccia la gente a dire certe colossali cazzate senza venire folgorata sull’istante.

SONO IO IL VERME – Nella migliore delle ipotesi potrei anche considerare l’opzione di lavorare solo per la gloria, ma la gloria dovrebbe esserci. Non pretendo tappeti rossi e fiori che cadono dal cielo, ma almeno uno ha bisogno anche di essere apprezzato, oltre che decentemente pagato. Non tanto, giusto il giusto. Al limite anche pochissimo. Altrimenti poi uno pensa di non valere niente e si deprime. Vivere così, supplicando ogni volta e ogni volta ringraziando per ciò che si ottiene ti consuma, ma ce la fai finché ti sostiene la pur desolante convinzione di essere una persona onesta e corretta, di essere una creatura che combatte e non si arrende, che fa ciò in cui crede. Se un tempo potevo anche credere a queste panzane che io stessa mi racconto, sapete adesso cosa dico? Ma và a dà via i ciapp. Continuare a combattere per le briciole alla fine, se ancora il cervello non ti è andato completamente in pappa, non può che scazzare una persona senziente. E che diavolo, è mai possibile ridursi così, ad aspettare che qualcuno ti risponda, a sperare di non essere eliminati, a temere di essere inadeguati o superati? No, come dice Gandalf, “non ho attraversato fiamme e morte per scambiare parole inconsulte con un insulso verme”. E sapete chi è il verme? Io sono il verme.

TAPPABUCHI PER GEISER – Lo sono quando accetto di farmi trattare come una persona di scarso valore, quando ritengo normale dover insistere per ogni cosa, per ottenere minime concessioni e miseri vantaggi. Tutti siamo sostituibili, senza distinzioni, perché tutti nasciamo con una scadenza impressa sulla confezione. La cosa davvero seccante è quando si presentano quei periodi in cui non c’è giorno in cui la vita non ci tenga a dimostrartelo, quanto sei sostituibile e anche inutile. Avete presente quando la gente non trova mai tempo per voi e pare che vi considera per pietà? Pare che siano tutti impegnati a salvare il mondo, meno che te che sei uno scemo quindi non vai bene nemmeno come tappabuchi per geiser. Non è una cosa odiosa vivere in una condizione di eterna sospensione, aspettando non si sa bene cosa? Sì, lo è. Dove sta in tutto ciò la dignità del lavoro? Che dignità c’è nel non sapere cosa ti accadrà e se ciò che fai ha un senso? Ma qualcuno si è accorto che c’è più di un’intera generazione che vive e lavora così? Sono un po’ tante persone per continuare a far finta di niente. O no? Dopo tanti anni di lotta e di serietà, che mi hanno dato grandi soddisfazioni ma anche no, sapete che c’è di nuovo? Che mi è scappata la voglia non di lavorare, ma di passare tutta la mia cavolo di vita a organizzarmi e a farmi in quattro per il nulla di nulla. Tra l’altro ho bene in mente il processo che mi ha portato a questo profondo scazzo. Ovviamente non ho scelta e dovrò continuare, come molte persone che conosco e come molti di voi, a procacciarmi il pane vendendo (ormai a volte regalando) la mia poca dignità e il poco che so fare (poco poco, quasi niente) ad anime distanti. Non avrò una pensione e dovrò morire lavorando, ma, per potermi permettere di morire lavorando, dovrò abbassare la cresta e avere pazienza e fare indigestione di rospi. Questo è il mio destino e lo conosco. Ma ora ho abbracciato una nuova coscienza esistenziale. Una nuova epoca si apre davanti a me, senza promesse né speranze e per questo dal mio attuale punto di vista migliore. Per nuove promesse e nuove speranze c’è tempo, ci sarà tempo oppure semplicemente il tempo è finito e sono solo io che non mi voglio rassegnare. Ma non è questo il punto. Il punto è che ora davanti a me si apre una nuova prospettiva: il fancazzismo. Concederò finalmente a me stessa, tra un dovere e l’altro (quelli restano, perché bisogna mangiare) una bella ampia luminosa finestra di fancazzismo. Basta pensare a cosa non va, a quello che potrei fare, a quello che dovrò fare, basta rimuginare. Largo a un po’ di sano fancazzismo: rigenerante più delle terme, salutare più di ogni benzodiazepina. Oggi, finiti tutti i vostri doveri, al posto di pensare a quello che dovete fare vi consiglio di dedicarvi al fancazzismo. Senza impegno, ovviamente. (Photocredit: Giornalettismo/MB)

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