Festival internazionale di Perugia 2014: una nuova sfida al giornalismo italiano
14/05/2014 di Gabriele Guarino
Essere stato a Perugia per questa inattesa, coraggiosa, splendida ottava edizione dell’INTERNATIONAL JOURNALISM FESTIVAL (#ijf14) è per me fonte di orgoglio.
Sono ancora frastornato dalla folla di giovani e appassionati che ho osservato durante questa intensa “5 giorni” di festival. Sono ancora stupito dalle lunghissime file fuori dalle sale, sotto la pioggia battente.
Sono ancora nella mia testa computer, smartphone e tablet sempre accesi e tutti costantemente connessi alle rete per commentare, condividere e divulgare contenuti, interessi e apprendimento. Pura passione emersa durante gli incontri seguiti da discussioni prolungate nel tempo. Voglia di verità e di indicazioni su come veicolarla, voglia di esprimersi e di capire meglio come farlo. Tante, fin troppe, le domande rivolte agli speaker di alto profilo, giunti da molte parti del mondo.
Ho visto uno spaccato giovanile produttivo di un paese solo apparentemente addormentato. Materia grigia in grande fermento, nessuna traccia di sdegno e rabbia. Ho visto ragazzi seduti per terra a bocca aperta sotto i palchi, e non per la stanchezza. Un’atmosfera frenetica densa di entusiasmo contagioso.
Mi piace ricordare il 2 maggio alle ore 21.00. Lo spettacolo di Marco Travaglio (“Viva il Re!”) rivisitato ad hoc per Perugia, al termine di una delle cinque giornate dense di panel e conferenze, è stato emozionante. Tutto esaurito al teatro Morlacchi. E’ stato il suo spettacolo ma è stato anche il suo momento, di fronte a una platea diversa, composta, colta ma anche ricca di contaminazioni pop, altamente tecnologica, molto attenta e profonda conoscitrice dell’italianità e della storia italiana. E lui, ampiamente consapevole della potenzialità di questo pubblico, ha adattato con destrezza i contenuti del suo discorso senza stravolgerne la struttura. Ha parlato del Presidente Napolitano, critico come sempre sulla sua rielezione, ha ricordato le recenti tappe politiche, attenendosi a citare l’accaduto con la consueta ironia, e poi è andato inaspettatamente oltre, lasciando un po’ tutti di stucco.
Ha incentrato tutto il “secondo atto” sulla professione del giornalista, rivendicandone l’anima schietta, illustrandone la deontologia professionale, ricordando le inchieste che hanno reso immortali alcune grandi firme del giornalismo italiano, facendo una menzione continua quasi ossessiva sulla purezza dell’approccio del reporter, del cronista.
Una professione che dovrebbe essere sospinta dalla vocazione per il controllo sui poteri forti, fatto di taccuino, indagini e verifiche, e dalla predisposizione per la denuncia, laddove ci siano delle lacune o delle inadempienze. Che non sia solo espressione del potere e suo ufficio stampa. Che abbia il coraggio di indirizzare decisioni e che non dia esclusivamente eco a quelle già prese.
Secondo Travaglio viviamo una fase triste della carta stampata, composta da tanti portaborse, conformisti, conservatori, cortigiani, mercenari, che si comportano da cantastorie di seconda scelta, addentrandosi nei dettagli di contorno e nel gossip pur di non affrontare i veri problemi del paese, tenendoci nascosta la verità.
Ecco il bello della rete, invece, che permette a chiunque di emergere, di dire la sua verità. Perugia ne è la dimostrazione. Il talento passa dall’impegno, dalla qualità e dalla veridicità dei contenuti, più che dal nome della testata. Il talento ora è novità, più che mai. E l’opinione della rete è immediata e manichea. Può stroncare o dare grande visibilità. E, soprattutto, può far arrivare messaggi che altrimenti non arriverebbero mai.
La rete è libero arbitrio: è decidere di seguire chi vuoi, è scegliere di lasciarsi influenzare da pensieri scritti non su commissione e dalle persone giuste, è poter fruire di materiale altrimenti introvabile. E la lotta per la verità è forse il vero fine del giornalista ideale descritto da Travaglio e anche il vero modello che si è voluto proporre a Perugia, seppur non apertamente. Un difensore scaltro con il compito di preservarla da chi vuole edulcorarla, rendendo tutto più ovattato, più filtrato, colorato da un effetto pastello che alla lunga ci rende tutti più assuefatti e più cinici.
Dovremmo sempre ricordarci che noi siamo quello che scopriamo ogni giorno e che potremo tramandare a chi verrà dopo di noi. E non, come spesso ci si vuole far credere, semplici passacarte o, peggio ancora, paggi e bravi scagnozzi.