Festival di Venezia: Fischi (ingiusti) per A Bigger Splash di Luca Guadagnino

A BIGGER SPLASH, IL FILM IN CONCORSO A VENEZIA 72 –

A Venezia siamo tutti più cattivi”. In modo diverso, qui al Lido, questa frase è stata detta, anni fa, sia da Pupi Avati (che ci fece anche un film sottovalutato e affascinante come Festival, sulle isterie da competizione d’arte) che da Nanni Moretti. Solo così si possono spiegare i fischi al secondo film italiano (ma in lingua inglese, e non a caso già è stato molto venduto all’estero) in concorso in questo Venezia 72, A bigger splash. In entrambe le proiezioni per la stampa, infatti, i fischi e i buu hanno sovrastato sparuti applausi: reazione francamente incomprensibile, visto che opere imbarazzanti come Equals invece hanno riscosso addirittura entusiamsmo. Inspiegabile razionalmente, ma perfettamente logico nella follia della Mostra, per il pregiudizio negativo che molti hanno, tra gli addetti ai lavori, per il talento mai conformista di Luca Guadagnino e per la severità autolesionista con cui sempre si giudicano le opere nostrane.

Nella foto di Alessio Bolzoni
Nella foto di Alessio Bolzoni il regista Luca Guadagnino

A BIGGER SPLASH, LA RECENSIONE –

Ce lo avevano presentato e promesso come un thriller erotico, A bigger splash, remake del bel film La piscina con Alain Delon, Jane Birkin e Romy Schneider, con la regia “tutelare” di Deray. C’è poco dell’uno e dell’altro, soprattutto se comparato all’originale del 1969, ben più ancorato agli stilemi del genere, che qui tra melodramma glam, lolitismo e noir diventano invece pretesto (non a caso il finale racchiude in sé una parte ben più sviluppata nell’opera francese).
Guadagnino, insomma, usa La piscina come binario narrativo e ispirazione per raccontare ciò che gli riesce meglio, un nucleo di persone unito da interessi e sentimenti forti, con ego (pre)potenti o feriti, all’interno di situazioni eccezionali, che sia la famiglia alotborghese di Io sono l’amore, o questo poker di cuori che ruota attorno a una rocker afona, metafora deliziosa che ci dice molto del film, del suo narratore e anche di una visione iconoclasta e allo stesso tempo sensibile della fama, di quel sentirsi al di sopra delle regole con soave menefreghismo.
Al regista interessa il rapporto tra i due uomini, che si dividono il cuore della sua attrice feticcio, Tilda Swinton (bellissima e così carisamatica da non aver bisogno neanche di tutto il suo talento in questo lungometraggio). Due esseri imperfetti, vigliacchi, ombre della luce che si contendono: uno nuota nel suo presunto glorioso passato e nell’amore che è stato incapace di meritare, l’altro in un presente apatico, in una disintossicazione dalle sue dipendenze che è diventato un suicidio emotivo, per evitare quello fisico, un uomo, come dice Ralph Fiennes, che “preferisce cambiare i suoi obiettivi invece del mondo”. Interessa vedere come Tilda Swinton sappia riempire la scena senza parole, e confrontarsi con l’adolescente Dakota Johnson – purtroppo mai in parte e irritante nel suo non saper stare al passo del film – e soprattutto con se stessa, tra l’esigenza di perdersi nella passione distruttiva o farsi coccolare da un amore protettivo. Il thriller e l’erotismo, così, diventano solo dei colori sulla tavolozza del regista, per regalarci la tensione necessaria all’emotività di questo quartetto, per solleticare le fantasie persino elementari di chi non si rassegna a essere normale. E tutto va bene, fino a quel finale in cui Guadagnino perde le redini – e la fotografia è un Corrado Guzzanti sprecato in una macchietta – e in cui quasi sembra smarrire l’interesse per quel corto circuito che ci ha raccontato fino a quel momento, come se nella piscina del titolo del 1969, in quel bigger splash, annegasse il film e il suo occhio fino a quel punto vivace e originale nell’accarezzare molti cliché.
Il montaggio di Fasano fino a quel momento tanto irregolare quanto intonato, la fotografia perfetta, la regia elegante, armoniosa e come sempre un po’ perfida, tutto si perde. Ma quei venti minuti non bastano a giustificare i fischi, né a sminuire i rischi che si è preso l’autore: di A bigger splash ci rimane comunque un attore che sembrava finito e che qui regala una delle prove migliori in carriera (Ralph Fiennes), un racconto che ci conferma il talento altro e alternativo di un cineasta che si ostina, per fortuna, a non essere come lo vorrebbero e una storia inquietante che, fino all’ultimo (e forse unico) colpo di scena, ci tiene lì, con Marianne Lane ad assomigliarci più di quanto vorremmo.

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Matthias Schoenaerts, Tilda Swinton, Dakota Johnson e Ralph Fiennes nel dammuso di Pantelleria che fa da location principale a A bigger splash

A BIGGER SPLASH, IL TRAILER –

Qui in Italia, dovremo aspettare quasi tre mesi per vederlo: uscirà il 26 novembre. E allora rimane il trailer da godersi in anteprima.

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