Festival di Venezia, La prima luce: Marra ci regala il migliore Scamarcio di sempre

LA PRIMA LUCE, IL FILM –

Amori misti, culture spesso contrapposte, sacrifici troppo grandi. La prima luce racconta quanto sia difficile volersi bene se i luoghi che ti hanno cresciuto sono troppo diversi, se la tua storia pesa come un macigno sul tuo presente, se uno dei due deve mettere un oceano tra sé e la vita precedente per mettere su una famiglia. E la difficoltà di chi viene considerato colpevole di una scelta presa insieme, di un sentimento che si credeva più forte di tutto e tutti, di un’infelicità che prova disperatamente ad arginare.

La Prima Luce

Questa è la storia di Marco, avvocato barese, e Martina copywriter sudamericana. Si sono amati, è chiaro, e tanto. Da quell’emozione, da quei momenti speciali è nato Mateo, 7 anni. Il padre lavora molto, forse troppo, la madre sente il richiamo del proprio paese e odia un’Italia in crisi, disperata, senza gioia. Non si capiscono più e alla fine la separazione è dolorosa e problematica. E c’è un regista che racconta un dramma moderno (padri alla rincorsa di figli che le madri usano come arma) con maestria, sensibilità, passione e ritmo, Vincenzo Marra.

La Prima Luce

LA PRIMA LUCE, LA RECENSIONE –

Una vicenda vera: nei limiti della finzione di un bellissimo film, infatti, possiamo riconoscere in controluce tante, troppe storie che abbiamo letto sui giornali o visto in tv. Ma se in quel caso senti addosso la distanza della narrazione e del sensazionalismo, Marra, con quella regia che non ti concede sconti, che senza scorciatoie ti pone senza protezioni in mezzo alle storie e ai sentimenti che racconta, ci mostra la realtà. Non accetta l’opportunità piuttosto facile di strappare lacrime a buon mercato, questo cineasta che, forse, per non aver frequentato i salotti giusti rimane sottovalutato, ma si concede la possibilità di mettere tre grandi film in uno. Il primo è un melodramma in cui assistiamo a un amore che finisce, dipinto con un chiaroscuro di anime e sensazioni. Riccardo Scamarcio che non capisce, Daniela Ramirez (bravissima nel risultare odiosa, rigida, cinica) che non vuole farsi capire, che vuole vendicarsi di una depressione che le monta dentro e che imputa a lui, perché così è più facile. Non ci sono ideologismi, solo una macchina da presa che non si limita a raccontarci la vittima e la carnefice, ma due esseri umani feriti, non più capaci di volare e ostaggio dei loro egoismi. E’ evidente che la storia penda a favore di Marco, un Riccardo Scamarcio mai così bravo, ma ha la capacità di rendere tridimensionale anche Martina, di non lasciarla ostaggio della sua rabbia e dei suoi errori. Di darle un cuore, anche se spezzato.

La Prima Luce

Poi, c’è il thriller: la ricerca, la battaglia, la vittoria di Pirro. Cambiano i toni, le immagini, un’indefinita metropoli sudamericana diventa una tavolozza di colori completamente diversa dalla Bari dell’inizio. E infine c’è il romanzo di (tras)formazione, il viaggio solitario di un uomo disposto a tutto, che arriva al limite e forse risale. Tutto è legato con talento, armonia, dolente profondità d’analisi, con inquadrature che sono splendide e terribili pugnalate (Scamarcio che si riflette nel vetro o immobile su uno spartitraffico, non servono parole o smorfie per sentire l’angoscia), con una scrittura secca, asciutta ma piena di empatia e una fotografia cesellata su un film che difficilmente dimenticherete. Perché raramente cinema d’autore e intrattenimento si incontrano così bene, trovando nel genere un appoggio eccellente per una vicenda che era quasi impossibile da raccontare. Quasi, per fortuna. E, lasciatecelo dire, visto il talento spesso male utilizzato di Riccardo Scamarcio, ci auguriamo che la cura Marra non perda i suoi effetti anche in futuro.

LA PRIMA LUCE, L’USCITA –

Il lungometraggio di Vincenzo Marra arriverà nelle sale italiane il 24 settembre, dopo il passaggio alle Giornate degli Autori di Venezia, proprio oggi. E con tutto il rispetto per l’ottima sezione Venice Days, come con Caligari, qui la domanda è sempre la stessa: perché non si gioca il Leone d’Oro La prima luce (e Scamarcio, magari, la Coppa Volpi)?

Share this article