Forza Italia, tentazioni “nazarene” sulle riforme. Ma Verdini è ormai verso l’addio

Non è una questione di etichette. Se risorgerà il patto del Nazareno, come si azzarda tra i corridoi parlamentari, o se tra maggioranza renziana e Forza Italia ci sarà soltanto una “semplice” collaborazione sulle riforme, cambierà poco. La sensazione, però, è che tra i due fronti sia comunque in atto un disgelo, nonostante le smentite dei berluscones. Un dialogo ritrovato, cinque mesi dopo la rottura sul Quirinale, al di dell’opposizione sbandierata dal Cav per allontanare l’opa di Salvini sul centrodestra.

Silvio Berlusconi
ANSA/EPA/GABRIELE PUTZU

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VENTI NAZARENI TRA FI E MAGGIORANZA RENZIANA –

I segnali di un progressivo riavvicinamento non mancano. A partire dalla riforma della Rai, l’unica che il premier Renzi può ancora sperare di incassare prima della pausa estiva. Già prevista per l’8 agosto al Senato, dopo lo slittamento a settembre delle riforme costituzionali e delle unioni civili. A Palazzo Madama, dove i numeri della maggioranza renziana restano precari e non mancano i malumori della sinistra Pd, arriverà la prossima settimana il provvedimento che modifica la governance del servizio pubblico, dopo il via libera bi-partisan ai relatori (anche Fi e M5S hanno votato insieme alla maggioranza). E c’è chi evoca già un compromesso al ribasso con le opposizioni. Non sembra un caso l’approvazione di un emendamento presentato da Maurizio Gasparri che modifica il ruolo del presidente di garanzia di Viale Mazzini. Sarà scelto dal Cda, ma con la conferma della Commissione di Vigilanza. E lo stesso senatore azzurro ha esultato per una legge che, a suo dire, rispecchia al 99% quella in vigore che porta il suo nome. In casa renziana, al contrario, si provano a allontanare le voci di un “inciucio”: «Soltanto un confronto leale sugli emendamenti, sono passati anche quelli dei 5 Stelle. E l’ad avrà pieni poteri, senza limitazioni di alcun genere».

SENATO E LEGGE ELETTORALE, FI SPINGE PER MODIFICHE –

Eppure, non è soltanto la riforma della Rai il possibile punto di convergenza tra forzisti e renziani. Perché il vento del Nazareno “sfiora” anche altri provvedimenti, riforma del Senato e legge elettorale in primis. Lo aveva lasciato intendere lo stesso Cav, quando aveva escluso al “Giornale” una riedizione del Nazareno, ma aperto al tempo stesso a una possibile collaborazione: «Se il Pd presentasse in Parlamento qualche miglioramento, noi voteremmo a favore…». Una linea confermato a Giornalettismo anche dal senatore azzurro Lucio Malan: «Se c’è modo di migliorare Italicum e le Riforme non possiamo tirarci indietro, ma questo non è certo un patto di governo».

Le richieste azzurre restano due: riapertura sul Senato elettivo e ritorno al premio di maggioranza alla coalizione sull’Italicum (già legge, seppur in vigore da luglio 2016). Se il premier vorrebbe evitare di ritoccare la legge elettorale, sulle riforme, invece, sa già di dover trattare con i dissidenti del suo partito(e non solo). Se con i 25 della minoranza bersaniana capeggiata da Gotor è stato raggiunto un compromesso sulla Buona Scuola al Senato, la partita del Ddl Boschi è ancora tutta da giocare. «Quella è la battaglia più importante», spiegano dalla minoranza dem in Senato. Non è un caso che Renzi abbia evitato di accelerare sulla riforma di Senato e titolo V della Costituzione. E accettato, nonostante la contrarietà della ministra Maria Elena Boschi, tempi più lunghi per il nuovo passaggio. Anche per capire cosa farà Denis Verdini, l’ex regista azzurro del Nazareno, che da mesi vive ormai da separato in casa dentro Forza Italia.

Le richieste dell’ex plenipotenziario di Fi, sempre più emarginato da Fi dal cerchio magico, non sono state raccolte da Berlusconi. A partire dalla gestione collegiale del partito. E anche se il Cav aprisse ora in modo concreto alla collaborazione sulle riforme, riprendendo (di fatto) lo spirito del Nazareno, secondo fonti azzurre il rapporto tra Verdini e il leader azzurro sarebbe ormai comunque compromesso. Tradotto, l’addio sarebbe questione di giorni, settimane al massimo: «Uscirà prima della fine di luglio da Fi, creando un gruppo autonomo al Senato. Alla Camera, invece, i numeri non bastano, ma la scissione porterà alla nascita di una componente autonoma nel misto alla Camera», rilanciano fonti azzurre consultate da Giornalettismo. Un’ipotesi tutt’altro che fantapolitica.

Anche perché i segnali dell’addio sono molteplici. A partire da quello lanciato a Montecitorio dai quattro deputati che hanno votato la “Buona Scuola”: Luca D’Alessandro, l’ex coordinatore toscano Parisi, Mottola e l’ex sindaco di Castiglione della Pescaia, Monica Faenzi (non si è fatto vedere in Aula Ignazio Abrignani, altro fedelissimo). Seppur D’Alessandro abbia provato ad allontanare le voci di scissione, chiarendo come non si trattasse di “un voto politico”, dalle motivazioni è emersa un’altra verità: «Se l’avessimo fatta noi la sinistra sarebbe salita sulle barricate e noi saremmo a festeggiare con i caroselli per strada». Tradotto, tra la fronda di Verdini e la linea del Cav non c’è più alcuna sintonia. Ed è chiaro che i “dissidenti” puntino da tempo a spingere Renzi verso quel Partito della Nazione già evocato dal premier. Con i loro voti al posto di quelli della sinistra PD.

VERDINI, SCISSIONE VICINA –

Ma non solo. La scissione di Palazzo Madama è stata già anticipata da un primo, simbolico, addio. L’antipasto del divorzio, dopo l’uscita polemica da Fi della coppia Bondi-Repetti (che ha già votato la fiducia al governo), è stato il passaggio nel Misto di Riccardo Conti, altro fedelissimo di Verdini. In attesa, è l’impressione, che altri lo seguano. Potrebbero essere almeno 12 a organizzare il “soccorso azzurro” al governo Renzi. Per il capogruppo si fa già il nome di Riccardo Mazzoni, che con Verdini fondò il “Giornale della Toscana”. E il suo sostegno sarebbe decisivo anche in commissione Affari costituzionali (da dove passa il Ddl Boschi) dove la maggioranza non è più tale e c’è un equilibrio totale, 14 a 14.

Gli altri nomi per il gruppo di Verdini? Si va dal craxiano Lucio Barani (Gal) a Vincenzo D’Anna, che si beccò in passato un “vaffa” dal Cav in un’accesa riunione Fi e che ha già sostenuto De Luca alle Regionali in Campania. Ma non solo: vicino al senatore toscano viene considerato anche l’imprenditore campano Domenico Auricchio. Così come la truppa siciliana composta Antonio Scavone, Giuseppe Compagnone e Giuseppe Ruvolo (vicini all’ex ministro Saverio Romano), che per qualche tempo si erano avvicinata alla fronda di Fitto, per poi allontanarsi. Contatti sono in corso anche con Ciro Falanga ed Eva Longo, già passati con l’ex governatore pugliese in Conservatori e Riformisti. Così come sono stati avvicinati da pontieri verdiniani anche Giovanni Mauro (pure lui in commissione Affari costituzionali), Antonio Cariddi e le due senatrici uscite dalla Lega Nord dopo lo strappo di Tosi, Bisinella e Munerato. Alla Camera, invece, i numeri a disposizione di Verdini sono minori: ma se addio sarà, anche a Montecitorio Abrignani, D’Alessandro e gli altri fedelissimi lasceranno il gruppo di Brunetta.

In pratica, i problemi per il Cav non mancano. Su più fronti. Non soltanto quelli legati alla dispora in atto dal partito, con le scissioni interne (il 16 luglio anche Raffaele Fitto lancerà con una kermesse nazionale Conservatori e Riformisti, sancendo lo strappo anche alla Camera). Preoccupano anche i problemi giudiziari. Dal processo barese sulle escort, alla condanna a 3 anni in primo grado sulla compravendita dei senatori a Napoli (dove arriverà però la prescrizione a salvarlo a novembre), passando per il Ruby ter, l’impressione ad Arcore è che lo strappo del Nazareno abbia quasi “spinto” la magistratura a ripartire in quello che da sempre il Cav considera come “una persecuzione” nei suoi confronti. E che sia meglio cambiare linea. Senza dimenticare come dalle aziende di famiglia, così come da Letta e Confalonieri, da tempo lo spingano per tornare ad abbracciare un’opposizione più morbida. Una strategia che non sembra più un tabù per il Cav. Se mai lo sia stata.

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