Forza Italia, Romani: «Consulta? Una disfatta. Renzi uno stronzo, ma colpa di Brunetta»
17/12/2015 di Redazione
Un flop totale per Forza Italia, scaricata dal Pd sulla Consulta. O meglio, come ammette a Repubblica anche il capogruppo azzurro in Senato Paolo Romani, «una disfatta su tutta la linea». Con il collega alla Camera Renato Brunetta ancora una volta accusato dai gruppi parlamentari forzisti, considerato il maggiore responsabile della débâcle. Romani evita di evocarlo, ma è chiaro che condivida le critiche contro l’oltranzismo antirenzista dell’ex ministro della Pubblica amministrazione: «Non faccio nomi, la situazione è sotto gli occhi di tutti».
FLOP FORZA ITALIA SULLA CONSULTA, ROMANI: «DISFATTA. COLPA DI BRUNETTA? SITUAZIONE SOTTO GLI OCCHI DI TUTTI»
Romani non usa perifrasi per commentare il disastro azzurro. Non è una novità che, dalla rottura del patto del Nazareno in poi, Romani abbia condiviso poco la direzione assunta dal partito. Compreso il patto di Bologna con la Lega di Salvini, con la partecipazione flop del Cav:
«Dico che abbiamo sbagliato strategia, che stiamo sbagliando ancora una volta (mentre lo dice allarga le braccia e poi le lascia cadere, ndr). Però a Renzi l’ho detto, non si fa così». Cosa ha detto al premier? «L’ho raggiunto poco fa, poco prima che riferisse in aula sul Consiglio europeo, gli ho detto “sei uno stronzo”».
Proprio così? «Proprio così. E gliel’ho spiegato pure:
“Hai approfittato di quello scontro in aula a Montecitorio per fare in quattro e quattr’otto un accordo coi grillini e metterci fuori”. Ma non si fa, non è corretto».
Lo sa, senatore, in politica la correttezza…
«Io alla lealtà, soprattutto ai massimi livelli istituzionali, ci credo ancora», si legge.
Romani si era opposto anche alla possibile convergenza di Fi sulla sfiducia alla ministra Boschi presentata dal Movimento 5 Stelle. Non erano mancate le polemiche, tra chi nel partito ricordava come Fi non avesse mai sostenuto le mozioni di sfiducia individuali. Tanto che è servito l’intervento del Cav per stoppare i malumori: «Non voteremo la sfiducia alla Boschi, per coerenza ci asterremo o usciremo dall’Aula», ha spiegato l’ex premier alla presentazione del libro di Bruno Vespa.
BERLUSCONI: «NON VOTEREMO LA SFIDUCIA ALLA BOSCHI»/VIDEO
Di fatto, Fi blinderà così la posizione della ministra, anche in Senato dove l’unione delle opposizioni avrebbe potuto far traballare la sua poltrona. Tanto che c’è chi ha accusato il partito del Cav di sostenere il “nemico”. Come in un Nazareno perenne. Critiche rispedite al mittente da Romani:
«Sciocchezze. La cortesia nei rapporti personali non c’entra nulla con la politica. Ma io rivendico la mia posizione. Ero e resto contrario a una mozione individuale di sfiducia nei confronti di un singolo ministro. […] Altra cosa è condurre una battaglia dal valore simbolico ma significativo contro il governo nel suo complesso. Quella è sacrosanta e qui al gruppo al Senato siamo tutti d’accordo, senza alcuna titubanza. Ma voglio dire di più. Io a questo governo non voglio consentire per nulla vita facile. E sto raccogliendo le firme per promuovere una commissione di inchiesta sulla vicenda delle quattro banche, sulla quale ritengo che si debba andare fino in fondo. Tanto per cominciare con l’obiettivo di desecretare gli atti. Perché sono coinvolti tutti. Governo, Bankitalia, Consob e tutto deve venire allo scoperto».
LE ACCUSE DI ROMANI ALLA LEGA. MA ANCHE LA SUA POLTRONA VACILLA –
Da Romani non mancano nemmeno le accuse all’“alleato” leghista:
«Li ho visti io i leghisti, pronti a dare lezioni, a puntare l’indice contro di me, inseguire poi i grillini qui nei corridoi per concordare con loro gli attacchi da portare al governo. Sono loro a doversi chiarire le idee. Con chi stanno?»
Eppure, nel partito non manca anche chi critica pure la gestione di Romani al Senato. Se la posizione di Brunetta è a dir poco precaria, riuscito a “salvare” l’incarico (ma depotenziato) dopo l’assalto dei frondisti di Vito, anche la poltrona di Romani potrebbe presto vacillare. Con i gruppi parlamentari che reclamano un cambio nella gestione del partito.