E’ morto Gian Luigi Rondi, l’Andreotti della critica cinematografica italiana
22/09/2016 di Boris Sollazzo
GIAN LUIGI RONDI MORTO –
E’ morto nella notte Gian Luigi Rondi, nella sua casa romana: era nato a Tirano, in Valtellina, il 10 dicembre 1921, e aveva cominciato la carriera nel 1946 sulle colonne de ‘Il Tempo’ (70 anni di critica). Sembrava eterno, come la sciarpa attorno al suo collo che gli dava uno stile tutto suo, con quegli occhiali grandi e lo sguardo gelido, sempre, anche quando Cattelan scherza sulla sua età e sulla necessità di far presto, per essere sicuri, fa capire implicitamente, che arrivi vivo alla fine dell’ultima cerimonia di consegna dei David di Donatello, la prima su Sky (battuta raggelante a pensarci ora). Novantacinque anni, li avrebbe compiuti il 10 dicembre, quasi tutti spesi davanti al grande schermo, molti lo hanno considerato il Giulio Andreotti del cinema italiano. Nel bene e nel male e non solo perché lui, figlio di un ufficiale dei carabinieri, era con il “divo” il giorno in cui, come ricorda Filippo Ceccarelli “era con Andreotti il giorno che tra fontanelle e panni stesi annunciò la nascita di Cinecittà”. Lo era nella capacità di dare ampio respiro a un premio come i David e nel fare il direttore del Festival di Venezia (anche se celebre rimarrà il suo rifiuto a Velluto Blu di David Lynch), per aver intuito la grandezza di Kurosawa e Bergman nell’immediato dopoguerra, ma anche per l’idea che ha sempre dato di essere una sorta di grande vecchio che tutto sapeva e muoveva e con cui la politica si trovava a suo agio in ogni sua fazione, felicemente ricambiata (tanto da avere ai ridosso dei 90 anni la direzione del Festival di Roma e il commissariamento della SIAE).
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Era un uomo capace di sorprenderti difendendo Le quattro giornate di Napoli di Nanni Loy, incomprensibilmente oggetto, all’uscita, di un attacco ideologico da sinistra, ma anche di essere un elemento di sistema, strettamente legato alla Democrazia Cristiana e colpevole, forse, anche della gerontocrazia imperante nel cinema italiano (come nel resto del paese). Oggi lo ricordano in molti, come Baratta, presidente della Biennale di Venezia che ne ricorda “la grande competenza e grande saggezza” nel ricoprire quello stesso ruolo.
GIAN LUIGI RONDI BIOGRAFIA –
Già nel 1949, per la prima volta, è membro della giuria della decima Mostra del Cinema di Venezia. Negli anni ’60 arrivò la partecipazione alle giurie internazionali: Berlino (1961), Cannes (1963), Rio de Janeiro (1965), San Sebastian (1968). Nel 1950 comincia la collaborazione per il Giornale Radio che durerà fino al 1995. Negli anni ’50 si dedica anche alla stesura di sceneggiature per registi come Georg Wilhelm Pabst, Joseph L. Mankiewicz, René Clair, Jean Delannoy e Ladislao Vajda. Si dedica ai documentari, come sceneggiatore e regista, ma rimane critico e di saggista, nonché professore universitario di storia del cinema italiano all’Università per Stranieri di Perugia e all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano e storia ed estetica del cinema alla Pontificia Università Gregoriana di Roma. Negli anni Sessanta comincia la sua collaborazione anche per la televisione. Cura, infatti, diversi cicli cinematografici dedicati a grandi registi. Nel 1970 fonda il ‘Festival delle Nazioni di Taormina’ del quale è anche direttore artistico. Nel 1971 entra a fare parte della Biennale di Venezia come commissario, incarico che lascia dopo due anni in polemica per la mancata riforma dell’ente. Torna a far parte della mostra lagunare nel 1983, come direttore, per 4 anni molto intensi. In seguito presiede il Festival di Locarno, nel 1988. Viene poi nominato, dalla Presidenza del Consiglio dei ministri, membro del Consiglio direttivo della Biennale di Venezia, con durata quadriennale. E’ stato nominato Cavaliere di Gran Croce e Grande Ufficiale della Repubblica Italiana e Legion d’Onore di Francia.
GIAN LUIGI RONDI E PASOLINI –
Tra i suoi grandi nemici niente meno che Pier Paolo Pasolini. Ora potranno saperlo solo loro due se PPP aveva ragione quando al critico dedico forse il più perfido dei suoi epigrammi.
Sei così ipocrita che quando l’ipocrisia ti avrà ucciso / sarai all’inferno e ti crederai in paradiso
Eppure, poi, ne difese Salò o le 120 giornate di Sodoma. Non pochi gli diedero del fascista, lui che partigiano si travestì da ufficiale della Wermacht per salvare un italiano dalla fucilazione (anche se mai ha parlato della vicenda, schivo). Accusato di essere un baciapile – si racconta di un Pontefice a cui diede consigli cinematografici in ginocchio – presentò però, difeso da Cardinal Luciani, a Venezia, I Diavoli di Ken Russell – per cui fu chiesto il suo licenziamento da commissario della Mostra – dove delle suore si trastullavano in giochi spregiudicati con ceri destinati alla preghiera.
Rondi, insomma, è stato uno, nessuno e centomila. E forse neanche lui avrebbe saputo tratteggiare un ritratto di se stesso. Forse per questo chiese a molti artisti, tra cui De Chirico, di ritrarre la madre, la fonte delle sue ispirazioni culturali e “a cui devo tutto”. Noi lo salutiamo con le parole da lui affidate al collega Gnoli neanche tre anni fa, che ne spiegano quello che molti hanno inteso (solo) come attaccamento alle poltrone.
Passo dei momenti in cui avverto l’ala della depressione scendere su di me. È come se sentissi un grande avvenire dietro le spalle. Fu Gassman a coniare questa espressione. Sa qual è il problema? Non accetto la mia età, da ogni punto di vista la osservo, rifiuto l’idea che ho quasi 92 anni. Non voglio ripiegare su me stesso (…) Non mi rassegno alla noia, al non far niente, alla morte