I cinesi schiavi in Italia
21/08/2013 di Valentina Spotti
Da anni il distretto tessile più importante d’Italia, quello che tradizionalmente sorge tra Prato e Firenze, è diventato terreno di conquista di piccoli e grandi laboratori gestiti da cittadini cinesi. Ma quello che a prima vista sembra essere un florido polo artigianale e commerciale nasconde una realtà fatta di abusi e sfruttamento difficili da separare dal concetto di schiavismo.
“QUESTA ORMAI È CINA” – Ne parla Barbie Latza Nadeau, che per il The Daily Beast ha compiuto un viaggio all’interno dei laboratori tessili di Via Pistoiese a Prato, diventata ormai da anni una “Chinatown” che vive a stretto contatto con le macchine da cucire. “Non c’è nessun tipo di integrazione. Loro vivono in questa parte della città e noi nella nostra – dice sconsolato Giovanni Braccini, pratese di 73 anni, che da una vita osserva la lenta evoluzione sociale della sua città – Qui non sei più in in Italia. Questa ormai è Cina”. Secondo l’Istat, l’immigrazione cinese nel nostro paese è triplicata negli ultimi dieci anni: sarebbero oltre 210.000 i cinesi che vivono in Italia anche se solo 41.000 hanno ufficializzato la propria condizione. Dal 2003 a oggi le imprese gestire da cinesi sono aumentate del 232% sopratutto a Milano, Napoli e Prato. Ma, e questo è il dato più preoccupante, la maggior parte degli immigrati cinesi clandestini arrivano nel Belpaese come “merce” dei trafficanti di esseri umani, pronti per essere impiegati in qualche laboratorio tessile che ha fame di operai specializzati. Soltanto la scorsa settimana in Francia e Spagna sono state arrestate 75 persone: tutte facevano parte di un’estesa rete di trafficanti di esseri umani che opera anche nel nostro paese.
IL SOGNO ITALIANO – Nadeau ha intervistato una coppia di coniugi di nazionalità cinese, che hanno preferito non fornire i propri veri nomi perché clandestini: Jan e Li sono arrivati a Roma a gennaio: hanno pagato cinquantamila dollari a testa per ottenere documenti falsi, compreso un lasciapassare che li salverebbe dal rimpatrio forzato nel caso dovessero essere arrestati dalla polizia. La sorella di Li lavora a Prato, in un laboratorio dove si produce seta e la donna vorrebbe raggiungerla: con l’inizio della produzione di abiti autunnali, la richiesta di manodopera aumenta sempre e per Li potrebbe arrivare l’occasione buona. Jan, che parla un po’ l’italiano, per il momento lavora in un negozio che vende articoli per la casa di importazione cinese. Aspetta solo di poter mettere da parte qualche soldo per aprire la sua propria attività: “Abbiamo il sogno italiano – dice – Vogliamo fare qualche investimento qui”.
SCHIAVI DELLA MACCHINA DA CUCIRE – Nonostante la loro condizione di clandestinità, Jan e Li sono stati fortunati: lo stesso non accade per migliaia di loro concittadini costretti a lavorare senza tutele e diritti, nemmeno i più elementari, come l’assistenza medica in caso di infortunio o la possibilità di lavorare in un ambiente salubre. Lo scorso marzo, la Polizia di Prato ha aperto un’inchiesta dopo che un ragazzino cinese apparentemente minorenne è finito al Pronto Soccorso con alcune ferite provocate da una macchina mal funzionante. Il ragazzo mostrava anche gli evidenti segni della malnutrizione. Agli agenti ha detto di lavorare sette giorni su sette per un euro all’ora, iniziando alle sette di mattina e finendo a mezzanotte. Dormiva all’interno del laboratorio, pagandosi vitto e alloggio con il suo misero salario. È stato preso in cura dagli assistenti sociali, mentre i video registrati da alcune telecamere nascoste hanno scoperto bambini che lavoravano e vivevano in quello stesso laboratorio, invaso da topi e scarafaggi. Non è andata diversamente a Milano, dove all’inizio del mese tre giovani donne sono letteralmente fuggite da un appartamento dicendo di essere le schiave di un importante uomo d’affari cinese. Nessuna delle tre donne parlava l’italiano. Non sapevano nemmeno in che città si trovassero.
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VERSO L’INTEGRAZIONE? – Non tutti i sogni, però, finiscono in incubi. E per l’amministrazione italiana è necessario favorire l’integrazione: gli imprenditori cinesi di Prato hanno proposto e finanziato un progetto per formare nuovi operai tessili, un’idea che – sebbene ancora al vaglio della Giunta pratese – è appoggiata dal governatore della Toscana Enrico Rossi, che spera di poter creare più posti di lavoro e combattere l’illegalità. Non tutti sono d’accordo con questo punto di vista. Per il sindaco di Prato, Roberto Cenni, si tratterà di una nuova opportunità di “saccheggiare l’economia italiana” da parte degli immigrati cinesi.
(Photocredit: Getty Images, foto di repertorio)