«I militari italiani torturavano a Nassiriya»
10/04/2014 di Alberto Sofia
Torture sistematiche e violenze compiute dai militari italiani contro i prigionieri iracheni a Nassiriya, bendati e con le mani legate con delle fascette da elettricista, per costringerli a parlare. Questo è quanto avveniva durante la missione militare italiana di pace in Iraq, secondo quanto svelato da un soldato al programma televisivo “Le Iene“.
LE IENE E LE TORTURE COMMESSE DAI MILITARI ITALIANI A NASSIRIYA – Sono passati più di 10 anni dall’attentato terroristico del 12 novembre 2013, costato la vita a 19 italiani (tra civili e militari) e 9 iracheni nella base di Nassiriya, nel sud del Paese (l’Italia ha partecipato dal 2003 al 2006 all’operazione “Antica Babilonia, ndr). Già la scorsa settimana un ex militare, Leonardo Bitti, aveva raccontato all’inviato de “Le Iene” Luigi Pelazza le presunte torture commesse durante la missione nel 2003, all’interno della base italiana di White Horse, la “casa” dei nostri soldati nella periferia della città irachena: «Ho visto ragazzi con il passamontagna in testa, alcuni con il manganello (che facevano parte delle unità speciali italiane dell’esercito, ndr)», aveva spiegato l’ex soldato al giornalista. «C’erano prigionieri iracheni nudi che avevano segni di manganellate. Erano costretti a restare tutti nella stessa posizione: inginocchiati, con i piedi incrociati e con le mani chiuse da fascette da elettricista», aveva svelato l’ex militare, che aveva prestato servizio per venti anni in missioni all’estero (oggi svolge una professione legale in Sardegna, ndr). In pratica, interrogatori-tortura, vietati dall’Onu. In attesa delle verifiche da parte delle autorità competenti, il racconto è stato confermato da un altro militare, che come Bitti prestava servizio a White Horse nel 2003. E viene anche mostrato un filmato ricevuto da un militare, il quale sostiene sia stato girato proprio all’interno di una tenda militare italiana a Nassiriya.
IL RACCONTO DELLE TORTURE NELLE MISSIONI DI PACE ITALIANE IN IRAQ – Il militare che ha fornito le nuove rivelazioni alle Iene era uno stretto collaboratore del generale che comandava l’intero contingente italiano a Nassiriya. Le Iene hanno svelato come il soldato non fosse a conoscenza di essere ripreso, mentre raccontava cosa accadeva nella base italiana. «Si facevano interrogatori un po’ “particolari”», ha spiegato. «Gente incappucciata, bendata, legata con le mani dietro con le fascette. Questo facevate lì dentro?», ha domandato Pelazza. «Sì, chi di dovere lo faceva», ha replicato il militare, confermando il racconto di Bitti. «Dovevi farli parlare», ha continuato. Alla domanda su «chi prendeva queste persone» il militare ha indicato «il Sismi», ovvero il Servizio segreto militare italiano. «Il Sismi era dentro la base a Nassiriya. Quanti ne prendevano? Dipende dalle retate. La notte potevano rientrare anche dieci, l’indomani uno», ha continuato. «Per quanti giorni venivano trattenuti?Dipende, non c’era un tempo. C’era gente che parlava immediatamente, altra a cui piaceva prendere i colpi», ha aggiunto il militare. Si mostra anche un’immagine scattata dal soldato, dove si vedono i detenuti iracheni bendati, con le mani legate con le fascette, proprio come raccontava Bitti.
E si mostra come a sorvegliarli ci fosse un militare italiano, come conferma il dettaglio mostrato dello scudetto tricolore (con tanto di lettera “A” finale, del termine “Italia”) nella mimetica.
LE VIOLENZE NELLA BASE A NASSIRIYA – Il militare ha poi disegnato su un foglio di carta come fosse disposta l’area di un’altra struttura di reclusione dove sarebbero stati rinchiusi gli iracheni, prima di entrare in quella che ribattezzava “la casa”, dove i detenuti iracheni venivano interrogati: «Loro stavano qua, allo stato brado», insieme agli escrementi, si racconta. «Mangiare e bere? Io non gliel’ho mai portato». Il militare ha anche citato un sergente (oggi diventato sergente maggiore) specializzato in alcune tecniche di tortura, come quelle attraverso l’uso degli elettrodi. Per poi ricordare come i prigionieri durante gli interrogatori venissero «incatenati a testa in giù». Durante il racconto, il militare, ignaro di essere ripreso, rideva. Come se le torture fossero soltanto uno scherzo. Attraverso l’utilizzo dei disegni ha poi mostrato come i prigionieri venissero trasferiti da una stanza all’altra, per essere torturati. «Ogni volta prendevano legnate?», ha chiesto il cronista. «Per forza», ha replicato il militare. Il compito dei militari era quello di farli parlare, a tutti i costi. «Mai scappato il morto? Che io sappia, no», ha continuato. «Fino a dove potevano arrivare le torture? Hai presente quando accusano la polizia di aver interrogato qualcuno in modo un po’ più “forte”? Era soltanto l’antipasto di quanto poteva accadere a Nassiriya», ha concluso il militare, rivolto al cronista.
COME IN SOMALIA – Le Iene hanno ricordato come già nel 1997 alcuni militari italiani impegnati in missione di pace in Somalia vennero accusati di violenze e stupri sui somali. Vennero denunciate da un ex paracadutista, Michele Petruno. Alle Iene Petruno ha svelato come ci furono detenuti torturati con gli elettrodi che persero la vita. «Non per conoscenza diretta, ma ne ho sentito parlare. All’interno del campo si diceva che qualche prigioniero era morto». Il racconto di Petruno su quanto avveniva in Somalia venti anni fa è simile a quanto denunciato dal militare che è stato in servizio a Nassiriya: «Prima di essere interrogate, le persone venivano portate in tende cella. Legate e incappucciate», ha spiegato.
A distanza di anni, un’inchiesta indagò sugli abusi. Ne seguì un processo per tortura, con imputato il maresciallo della Folgore, Valerio Ercole, nel 1997: poi il reato cadde in prescrizione, come dichiarò la Corte d’Appello di Firenze. Al contrario, secondo la difesa degli altri militari processati la vicenda venne spiegata con la brutalità della situazione in cui erano costretti ad operare. La missione italiana in Somalia sotto l’egida dell’Onu, denominata “Ibis” (iniziata il 13 Dicembre 1992 e terminata il 21 marzo 1994) fu condotta dai parà della Folgore: nell’operazione persero la vita 11 militari italiani (luglio 1993), ma anche la giornalista Ilaria Alpi e il telecineoperatore Miran Hrovatin, nel marzo 1994.
L’ATTENTATO ALLA BASE DELLA NASSIRIYA – Il militare che ha parlato degli abusi commessi a Nassiriya ha poi fornito una sua versione dell’attentato nella base italiana (del 12 novembre 2003, ndr): «C’è un messaggio arrivato l’8 novembre 2003. Gli americani ci dissero che dal 10 in poi la nostra base era a rischio attentato», ha svelato il soldato. Per poi concludere: «Il 10 questo messaggio è stato resto pubblico anche a noi. Se l’11 novembre avessero voluto far saltare tutto, potevano farlo. Alla Mestrale, cenavano tutti i capoccioni. C’erano i comandanti dei carabinieri, c’erano le persone del Sismi. Se volevi fare il danno, quello era il giorno ideale. Invece lo hanno fatto 9 ore dopo». Il motivo? Secondo la versione del soldato, «qualcuno gli ha detto di farlo il giorno dopo». In pratica, per il militare, chi organizzò l’attentato «voleva dare un segnale forte ai politici italiani», hanno aggiunto le Iene. «Perché l’Italia era lì? Chi gestiva gli appalti? Il petrolio dei pozzi chi lo gestiva? Nassiriya aveva cinque appalti di ristrutturazione. Idrico, centrali elettriche, rifacimento delle strade, delle strutture e delle scuole. Sai quanto valevano gli appalti per quelle opere?», ha continuato il militare. Per le Iene, «una montagna di soldi»: «Secondo il ministero degli Affari Esteri, 270 milioni di euro per la ricostruzione dell’Iraq». Con tanto di denuncia finale da parte del militare: «Dal 2003 al 2006 nessuna di quelle opere è stata fatta. I soldi sono arrivati alle ditte, ma non in Iraq», ha aggiunto il militare, parlando di aziende di Milano, Bergamo e Como. «I proprietari? Uno è ancora seduto in Parlamento». Ai tempi di Nassiriya, l’uomo gestiva il satellitare criptato del generale, che non poteva quindi essere intercettato. Uno strumento dal quale passavano informazione riservate e che sarebbe stato fatto sparire.