Il carattere confessionale dell’insegnamento nella scuola dello stato laico

UNA “MISSIONE” CULTURALEMonsignor Crociata, segretario della Cei, dà come titolo al suo intervento “Prendere forma come processo di autoformazione”. Che significa? Che l’insegnante di religione deve rigare dritto e che, fino a quando ci riesce, tutto va liscio. “Quale rapporto c’è tra formazione, diciamo di base o iniziale, ed esercizio dell’attività di insegnamento? E quindi ancora: quale tipo di formazione è adeguata per un tale servizio? Un collegamento tra formazione ed esercizio dell’insegnamento viene spesso individuata in qualche proposta di formazione permanente, ma in tale modo la questione viene solo spostata in avanti, non affrontata”. E dunque? “La […] formazione […] non è mai finita, non è compiuta una volta per tutte, senza per questo rimanere sempre indefinita e incompleta. Siamo ben consapevoli che quella che abbiamo chiamato formazione di base o iniziale costituisce un quadro essenziale di cognizioni e di competenze senza il quale nessuna attività educativa può essere intrapresa, e tuttavia, da sola, essa risulta inadeguata allo svolgimento del compito per il quale pure può essere in grado di preparare al meglio nella sua fase di avviamento”. Se si sgarra, insomma, si va a insegnare altro. Infatti, “al di là delle garanzie istituzionali che l’insegnamento della religione cattolica nelle scuole italiane può esibire e che è autorizzato a far valere in tutte le forme previste da concordato, accordi, intese, leggi e ogni altro genere di disposizioni, è assolutamente necessario avvertire la sua natura di missione culturale, e questo in un duplice senso, formale e sostanziale”: pagati dallo Stato, ma per svolgere un compito che è sotto il controllo della Chiesa. C’è modo e modo di dirlo, però, e l’eufemismo soffice è quello preferito da Sua Eccellenza: “Senza la coscienza convinta di questo duplice inseparabile senso, non è possibile oggi insegnare religione cattolica nella scuola italiana. È in funzione di tale senso che possiamo appropriatamente parlare di formazione. E possiamo farlo perché la ‘forma’ che l’insegnante di religione è chiamato ad assumere deve corrispondere alla destinazione della sua presenza e del suo servizio nella scuola. […] Il carattere confessionale dell’insegnamento della religione non è un diminutivo della dignità del sapere o della presenza e competenza educativa, ma al contrario ne è l’intensificazione”.

LA GERMANIA E‘ LONTANA – Ma chi meglio del Santo Padre può illustrare i connotati di questo “carattere confessionale”? “L’insegnamento della reli­gione cattolica è parte inte­grante della storia della scuola in Italia, e l’inse­gnante di religione costitui­sce una figura molto impor­tante nel collegio dei do­centi. È significativo che con lui tanti ragazzi si tengano in contatto anche dopo i corsi. L’altissimo numero di coloro che scelgono di av­valersi di questa disciplina è inoltre il segno del valore in­sostituibile che essa riveste nel percorso formativo e un indice degli elevati livelli di qualità che ha raggiunto”. Il conformismo è escluso. La mancanza di un insegnamento alternativo non inciderebbe. “Grazie all’insegnamento della reli­gione cattolica, dunque, la scuola e la società si arric­chiscono di veri laboratori di cultura e di umanità, nei quali, decifrando l’apporto significativo del cristianesi­mo, si abilita la persona a scoprire il bene e a crescere nella responsabilità, a ricer­care il confronto ed a raffi­nare il senso critico, ad at­tingere dai doni del passato per meglio comprendere il presente e proiettarsi con­sapevolmente verso il futu­ro”. […] Qui mi fermerei Vi risparmierei il resto. Quale felice coincidenza nell’essere raggiunti dalla notizia che in Germania un referendum leva all’insegnamento di religione ogni diritto all’equiparazione con le altre materie scolastiche: nella patria di Joseph Ratzinger, la scuola e la società rinunciano ad arricchirsi dei “laboratori di cultura e di umanità”. “La partecipazione al voto è stata bassissima, del 28,2% circa. E già questo indicava fin dal primo pomeriggio un consenso insufficiente all’iniziativa del movimento pro-religione. Poco dopo le 20, in base al conto del 96% dei voti espressi, il no alla pari dignità dell’ora di religione raggiungeva il 51,3, contro il 48,5 dei sì. Sono andati a votare appena 710 mila sui circa 2,4 milioni di aventi diritto al voto a Berlino. Questo vuol dire che, rispetto al totale del corpo elettorale nella città, i sì all’ora di religione sono soltanto il 13,7% . Molto meno del 25% dei sì che la legge avrebbe richiesto per una loro vittoria, anche se i sì fossero stati in vantaggio” (la Repubblica, 27.4.2009). Altre regole per il referendum, altro modo di intendere la laicità dello Stato, un altro paese insomma.

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