Il delitto di Maria Cappa: il caso Graziosi

MA ALTRE COSE LASCIAVANO SORGERE DUBBI – La distanza fra la mano di Maria e la pistola per esempio: «è troppo distante per un suicidio», dicevano gli esperti di balistica. «E poi manca l’alone accanto alla tempia. Quando qualcuno si spara da così vicino i residui dello sparo si depositano intorno al foro d’entrata del proiettile e la pelle risulta più bruciata». Niente, sul viso di Maria di quest’alone non c’era traccia. E poi quella telefonata. Perché correre a chiamare quest’Anna Maria Quadrini, sua studentessa, appena diciottenne, subito dopo il delitto? «Ma no marescia’, ma cosa crede’? Dovevamo andare a vedere un concerto insieme, ma dopo quello che è successo non mi sembrava il caso». Peccato che l’appuntato messogli alle calcagna non avesse fatto in tempo a sentire quello che diceva, altrimenti contraddirlo sarebbe stato un attimo. Bisognerebbe vedere quello che c’è fra Anna Maria e Graziosi. Niente giura lei. «Sì, lui mi piace, ma non mi ha mai toccata. Potete farmi anche controllare, ma sono pura come mi ha fatto mamma». Pura era pura. Ma quante cose scritte su quel diario. «Sono pazza di te, pazza d’amore», «Ti invio un po’ di quei baci che si sono accumulati durante la tua assenza sul banco del mio mercato d’amore: tu sei l’unico mio cliente», e via dicendo. Con una così non è che ti ci puoi fare solo una storia d’amore, magari voleva essere sposata. O magari era solo una studentessa del Conservatorio innamorata del proprio insegnante. Tutt’al più che Graziosi era una jazzista e un compositore di una certa fama: lavorava anche in Rai. In televisione. Figurarsi, chi non si sarebbe innamorato di uno che lavorava in televisione?!

NEL VUOTO – Di certa c’era solo la “leggerezza” di cui Maria parlava nella lettera: aveva la sifilide. E, naturalmente, ce l’avevano sia il marito che la bambina. «Mi confessò che poco prima che ci sposassimo era stata con un uomo a Vasto, in Abruzzo. Io l’ho perdonata, dopo dieci anni di fidanzamento una sbandata è comprensibile». La storia reggeva. Però, poteva sempre avergliela attaccata lui alla moglie la sifilide, o no. Tutti questi dubbi non toccarono la giuria. Il 29 ottobre del ’49 la condanna di colpevolezza scese implacabile. Di ricorrere in appello neanche a parlarne: la Corte sarebbe stata istituita solo nel 1951. Mentre per la Cassazione la sentenza era legittima, inoppugnabile. Le porte del carcere una volta spalancate rimasero chiuse per un anno. Poi l’evasione, la fuga, l’arresto, un nuovo processo, un’altra condanna e altri anni da scontare. Altri dodici anni. Fino a che, il 6 agosto del 1959, Giovanni Gronchi, Presidente della Repubblica, non firma la grazia. Andreina, infatti, non ha mai creduto alla colpevolezza del padre e ha convinto i suoi parenti a perdonarlo. Perdono senza il quale la concessione non sarebbe mai arrivata. Misteri, ombre. Chi aveva attaccato la sifilide all’altro? Che c’era davvero fra Anna Maria e Arnaldo? Maria si è davvero sparata? Nessuno lo sa. Arnaldo, la sua innocenza ha continuato a proclamarla fino alla fine. Fino al 6 marzo del 1997, quando, ormai ottantaquattrenne, ha preferito lanciarsi nel vuoto dalla sua casa di Grottaferrata.

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