Il lavoro nero? L’unico che si trova ancora
01/03/2014 di Redazione
Il lavoro sommerso non conosce crisi, anzi: nel 2012 il tasso di irregolarita’ e’ tornato a salire, arrivando a quota 12,1% dopo due anni in cui il fenomeno sembrava essersi un po’ attenuato. Piccoli movimenti su una quota che viaggia comunque sulla doppia cifra. Ad allargare l’area del nero continua ad essere il Sud, basti pensare che nel Mezzogiorno gli ‘invisibili’ sono al 20,9%, quindi uno su cinque. E diventano uno su tre in Calabria, dove si registra il picco assoluto.
IL LAVORO NERO NON CONOSCE CRISI – A monitorare il fenomeno e’ l’Istat, che in settimana ha pubblicato le cifre aggiornate in una banca dati con piu’ di 200 indicatori territoriali per le politiche di sviluppo. D’altra parte il sommerso non solo la dice lunga sullo stato di salute dell’economia, ma la sua misurazione e’ condizione necessaria per assicurare l’esaustivita’ nel calcolo del prodotto interno lordo. La stima riguarda tutte le prestazioni svolte senza il rispetto della normativa vigente in materia fiscale-contributiva, quindi non osservabili direttamente presso le imprese, le istituzioni e le fonti amministrative. In altre parole e’ un esercito di lavoratori nascosti, che non risultano da nessuna parte, con tutto cio’ che ne consegue sul fronte delle tutele. Rientrano nel sommerso anche le prestazioni svolte dagli stranieri non residenti e non regolari, come i clandestini. Inoltre il fenomeno include il ‘doppio lavoro’, ovvero gli impieghi che si aggiungono al principale e che non vengono dichiarati al fisco. Sempre nel nero finiscono gli studenti, le casalinghe o i pensionati che hanno magari occupazioni occasionali ma che non figurano ufficialmente tra le forze lavoro.
LE CIFRE A LIVELLO TERRITORIALE – Guardando nel dettaglio le cifre a livello territoriale, a fronte di una media nazionale, pari al 12,1% (in lieve aumento da 12,0% del 2011), c’e’ un Sud che sconta una percentuale quasi raddoppiata. Insomma le differenze non mancano e a fare peggio sono la Calabria (30,9%), il Molise (24,6%) e la Sardegna (22,9%). Al contrario, la provincia autonoma di Bolzano risulta la piu’ virtuosa (7,0%), seguita dalla Lombardia (7,1%) e dall’Emilia Romagna (7,9%). Ovviamente i divari non solo attraversano il Paese dal Nord al Mezzogiorno, ma si fanno sentire anche passando da un settore all’altro. Tradizionalmente l’incidenza, parlando sempre delle unita’ di lavoro irregolari, risulterebbe maggiore nell’agricoltura, in alcuni servizi (commercio e pubblici esercizi) e nell’edilizia.