Il pasticcio delle celle di sicurezza

10/01/2012 di John B

Dal punto di vista del sovraffollamento è poco credibile che il decreto rappresenti una soluzione. In genere le carceri sono già organizzate per gestire la custodia dei detenuti in attesa di udienza di convalida che non dovrebbero essere “mischiati” con quelli già definitivamente condannati e in ogni caso una breve detenzione di 2-3 giorni non può incidere più di tanto sui problemi di congestione che hanno ben altre cause. Dal punto di vista del carico di lavoro, il decreto trasferisce la “rogna” dal personale di Polizia Penitenziaria (che è certamente oberato di lavoro ma è comunque organizzato per gestire la struttura a prescindere dal numero di “ospiti”) al personale delle forze di polizia territoriali (che invece non sono organizzate per gestire la custodia degli arrestati e non sono meno oberate di lavoro): sposta il problema, ma non lo risolve. Altri però sono i problemi più preoccupanti creati dal decreto.


DIRITTI E DOVERI –
Gran parte degli uffici di Polizia e dei Carabinieri non hanno personale per custodire gli arrestati. Questo significa che gli uomini impegnati nei servizi di controllo del territorio (specialmente volanti e radiopattuglie) dovranno essere distolti da quel compito per coprire i turni necessari a vigilare e custodire i soggetti che essi stessi hanno arrestato, anche per due giorni consecutivi. A farne le spese sarà la sicurezza del territorio, perché specialmente in quei comuni dove la presenza delle forze dell’ordine è già striminzita (pensiamo ai Commissariati che a malapena riescono a mettere su strada una volante o alle Stazioni dei Carabinieri che chiudono alle 20 per mancanza di uomini) l’applicazione della nuova norma si tradurrà nella frequente soppressione di qualsiasi servizio di controllo del territorio. Poi c’è un grave problema logistico e strutturale. Pochi uffici dispongono di celle di sicurezza e quasi nessuno di celle adeguate a garantire una permanenza prolungata (48 ore) dignitosa. Inoltre non ci sono capitoli di spesa previsti per coprire l’igienizzazione delle celle e dei servizi sanitari annessi (ammesso che esistano), il ricambio costante della biancheria, la fornitura di pasti. In un passato che si riteneva ormai lontano, poliziotti e carabinieri si autotassavano per comprare pane e companatico agli arrestati (non ci si può fidare di viveri eventualmente recapitati dai loro parenti e conoscenti). Monti ha previsto la copertura di queste spese? Certo che no. Un arrestato costretto a restare per 48 ore in una cella di sicurezza, avrà pur diritto a guardare la TV, a leggere un giornale, a lavarsi i denti, a radersi? O riteniamo dignitoso lasciarlo come un vegetale per due giorni? Quanto costerà costruire nuove celle di sicurezza o adeguare le poche esistenti rispettando i criteri di sicurezza imposti dalle norme e dal buon senso (primo fra tutti quello che cella e allestimenti devono rendere impossibili gli atti autolesivi)? Possibile che Monti e i suoi ministri non abbiano pensato a questo? Ma l’aspetto più grave, che rende davvero inaccettabile il decreto, è quello morale e civile. C’è una ragione ben precisa per cui è bene che un arrestato sia trasferito al più presto presso una struttura carceraria. Il trasferimento, infatti, non è solo un’operazione fisica e logistica (da una struttura provvisoria a una struttura che garantisce uno standard adeguato in termini di servizi igienici, sanitari e alimentari) ma è anche un trasferimento di responsabilità.

ITER –
L’arrestato, infatti, viene trasferito dalla custodia di chi ha eseguito l’arresto (e che per forza di cose è direttamente coinvolto nella vicenda) a un organismo terzo (qual’è la Polizia Penitenziaria) che è neutrale e che ha l’unico interesse di applicare la legge e i regolamenti previsti. La permanenza prolungata nell’ufficio di polizia che ha eseguito l’arresto espone il fianco a situazioni di pressione psicologica e di tensione fra arrestato (con contorno degli eventuali familiari) e arrestante, nonché a sospetti di ogni genere.
Che succederà quando l’arrestato è una donna e non c’è personale femminile per vigilarla? Nel momento in cui un arrestato entra in carcere, esso è definitivamente sottratto a chi lo ha arrestato, che non potrà più avere contatti con lui nemmeno per interrogarlo. E’ un’altissima forma di rispetto di fondamentali garanzie di trasparenza e di dignità individuali, poste sia a tutela dell’arrestato che dell’arrestante (che non potrà essere accusato di maltrattamenti, pressioni per indurre la confessione o la collaborazione, ecc…). Il nostro sistema procedurale è frutto di decine e decine di anni di esperienze negative, di profonde riflessioni e di una grande maturazione civile e democratica. Improvvisamente, siamo ritornati indietro di decenni e per di più ad opera di un governo che – essendo stato nominato per svolgere specifiche funzioni tecniche e urgenti di natura prettamente economica – avrebbe fatto meglio a evitare di occuparsi di simili questioni che richiedono approfondite valutazioni politiche e giuridiche.

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