Interstellar, Nolan ha fatto un capolavoro o un bluff?

Non si parla d’altro. Ecco, se c’è un grande talento in Christopher Nolan, al di là delle doti puramente cinematografiche, è il saper attirare su di sé un’attenzione grande almeno quanto i budget che riesce a farsi mettere a disposizione.

Ora ha provato a fare il suo 2001 Odissea nello spazio, mettendoci un filo di Star Trek e lasciando a casa una brutta copia di Avatar. E il mondo grida al capolavoro. L’autore del Batman più amato, del cinema enigmistico di Inception, ora guru della fantascienza moderna, continua a macinare consensi critici e di pubblico, con incassi interstellari e un entusiasmo diffuso per la sua arte. E se anche chi scrive pensa che il nostro non sia un genio ma solo un ottimo regista e che Interstellar non sia neanche tra i primi 20 film di fantascienza più belli della storia, proviamo a capire perché piace così tanto.

 

AnneHathaway

 

NOLAN, IL NUOVO KUBRICK? – Alcuni, pochi a dirla tutta, si chiedono se si tratti di “vera gloria”. Perché mentre lo sci-fi, in passato, era quasi mito fondativo – Kubrick ci illuminò con invenzioni visive, tecniche e una riflessione trascendentale sulla vita e sul mondo, Fritz Lang costruì un mondo, come in passato, su pagina, fece Asimov -, ora è una sorta di compilazione creativa. Mentre prima era specchio della realtà – la fiducia nel progresso nella sua parte “buona”, la metafora della guerra fredda e di tutti i conflitti ideologici in quella “cattiva” – ora è invece collettore di immaginari schizofrenici, di visioni sul futuro confuse.

Nolan, se vogliamo, è figlio di Matrix, altra realtà del grande schermo divenuta fenomeno e cult, più bluff che capolavoro, ma vincente perché capace di azzannare un periodo di smarrimento ideale, spirituale e ideologico, quello dello scavallamento del millennio, con un minestrone new age che mescolò religioni, filosofie antiche e moderne, cristologia. E azione e tecnica d’avanguardia, ovvio. Interstellar fa lo stesso, con una schizofrenia, però, ben maggiore. Nolan piace a tutti perché con quella Nasa interrata e derisa che costruisce navicelle a cui nessuno crede – ma poi con quali soldi con il mondo ridotto in quel modo? – dimostra ancora una cieca confidenza nella tecnologia e nel futuro, con quell’agricoltura ridotta al lumicino e solo produttrice compulsiva di mais, a causa della “piaga” – ma perché non si pesca nella terra di Interstellar, cosa o chi lo proibisce? – mette insieme, contemporaneamente, nostalgia per il passato e una visione apocalittica del presente. E infine le teorie cospirazioniste che vanno contro la Scienza, qui nemica giurata e unica via di salvezza, nel giro di pochi minuti, accarezzano tutti i complottisti, dagli orfani di X-Files ai figli di Casaleggio, passando per coloro che sanno tutto sull’11 settembre.

 

MatthewMcConaughey

 

FANTASCIENZA INTIMISTA – Infine sposa con il protagonista la teoria che il racconto futuribile non può più cercare l’analisi della collettività e delle strutture sociali e politiche – anche se poi le affronta – il suo centro di gravità permanente, ma nell’uomo, nell’individuo singolo. Come insegna in Moon quel geniaccio di Duncan Jones. L’uomo in parte, vuol essere eroe di tutti e salvatore della patria e finisce per avere il peso dell’intero mondo sulle proprie spalle. E Interstellar, all’improvviso, diventa un’Odissea in cui Ulisse ritrova Telemaco (e in cui Penelope è morta, perché le donne nel cinema fantascientifico moderno, sono scomode: anche in Gravity la povera Bullock era una madre degenere che ha perso il figlio, forse, per le sue ambizioni troppo alte). L’opera di Nolan diventa, dopo 90 minuti di spiegoni e polpettoni filosofici-scientifici, il film più antico del mondo, il racconto più semplice e basico: un padre e una figlia, il loro rapporto. In una frase, il buon Nolan, con il geniale fratello sceneggiatore che qui non ci fa mancare qualche buco di scrittura niente male, non si fa mancare niente.
E’ un rottamatore, questo cineasta, e forse anche per questo piace. Batman invecchiando fallisce, in Inception la riflessione sul tempo è ossessiva e per “salvarti” devi essere giovane. In Interstellar addirittura si crea un cortocircuito tra generazioni, che non riveleremo a chi ancora non ha visto l’opera.
In questo va a spasso con Cuaròn, che però con Gravity sembra avvicinarsi molto più di lui a Kubrick, proprio perché sceglie una strada, un filo narrativo e visivo, e lo percorre con coraggio, anche estremo. Non fa il tuttologo, ma usa lo spazio come scenografia e (pre)testo, ma anche come invadente protagonista.

 

Interstellar2

 

Ed è curioso come questi due finti giovani (uno ha 44 anni, l’altro 53) si sentano, forse, figli delusi. Di come, nei loro film, i meriti dei padri si abbattano sui figli. Bullock e McConaughey sono eroi per tutti, ma genitori sbagliati. E sembra essere più importante quest’ultima caratteristica che la loro capacità di essere eccezionali. In un cinema drogato di supereroi, il regista cerca e vuole celebrare la normalità. Magari in mezzo ad ardite soluzioni scientifiche e narrative, come il tesseratto, che altro non è, forse, che una rivisitazione del finale di The Others o del Nolan di qualche anno fa, Shyamalan, nel suo successo più celebrato.

Nulla di nuovo sotto l’universo stellato, insomma.

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