«Io potevo essere Joele Leotta»
24/10/2013 di Stefania Carboni
C’è razzismo nel Regno Unito? No, perlomeno in gran parte delle storie di giovani che Giornalettismo ha contattato. La notizia dell’omicidio nel Kent di Joele Leotta, 19enne brianzolo di origini napoletane, ha fatto il giro del mondo. Al momento sono indagati quattro giovani di nazionalità lituana, ma in molti si sono chiesti se dietro l’omicidio avvenuto nel Regno unito ci sia una sorta di razzismo anti-italiano. Pista che ieri, nonostante i titoli nei media, sembra scemare secondo le autorità inglesi. Noi abbiamo contattato alcuni giovani che si trovano (o si sono trovati) per un lungo periodo oltre la Manica. Sostegno, sorrisi, cosmopolitismo, sono solo alcune delle parole pronunciate in favore della accoglienza british. Qualcuno di loro però ha precisato qualcosa di più sulla violenza fra teenager oltremanica: «La knife generation c’è, da anni ci titolano i giornali».
GLI STUPIDI SONO OVUNQUE – Giuseppe ha 30 anni, vive a Liverpool. È andato via dall’Italia nel 2005. «Per quanto riguarda la mia esperienza non ho mai avito nessun tipo di discriminazione. Il Regno unito e diventato ormai un paese cosmopolitan. Si è vero qualche volta trovi lo stupido che ti dice ‘fucking italian’, ma gli stupidi si trovano ovunque». Il ragazzo è riuscito tranquillamente ha posizionarsi bene sul lavoro nel giro di poco tempo. «Ho avuto la fortuna – racconta – di poter lavorare per una delle più grosse compagnie ristorative in UK. The Individual Restaurant Company ha 33 ristoranti nel Regno Unito. Devo dire che io sono salito già con un lavoro sicuro dall’Italia. All’inizio non è stato facile. Altra lingua, clima molto diverso da quello italiano, il mangiare, abitudini, familiari e amici lontani. Forse il primo anno è stato quello più difficile da passare, poi ci si abitua come in tutte le cose». Trovare impiego? All’estero sembra tutto più facile: Il problema non è trovare il lavoro. Il problema più grande è la lingua, diversa da quella che ti insegnano nelle scuole italiane. Se uno ha familiarità il lavoro si trova, in quasi tutti i settori». Ora Giuseppe è assistant manager in un ristorante brasiliano: «Ho iniziato come semplice bartender. Per quando riguarda la mia esperienza non ho mai avuto nessun tipo di razzismo nei mie confronti. Anzi, sono molto gentili e disponibili sopratutto al nord. Ho avuto la possibilità di vivere a Londra, per circa un anno. Lì, a dire la verità, sono un po’ più distaccati ma deriva dal fatto che è Londra. Una città enorme, con milioni di persone dove è quasi impossibile familiarizzare».
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(Photocredits: GettyImages)
LONDRA VIOLENTA – Jessica vive a Seven Sisters, Londra nordest. «Sono arrivata a Londra nel 1997, ero appena ventenne e venendo da una piccola cittadina come Ancona ovviamente Londra era una grande avventura e una città tutta da scoprire». Ha iniziato anche lei nella ristorazione, ha imparato la lingua a furia di tradurre canzoni, poi, con un buon livello, ha puntato più in alto: «Sono passata velocemente a diversi livelli manageriali nei lavori che ho avuto e quando sono arrivata ad avere un salario decente mi sono iscritta all’università e ho preso una laura di Graphic Designer alla Central StMartins mentre lavoravo part time». Ha un bel ricordo di Londra, multietnica: «Non ho riscontrato forme di razzismo verso italiani o altre nazionalità al di là dei soliti cliché: ‘gli Italiani mangiano la pizza e bevono espresso e gesticolano e portano gli occhiali da sole anche se non c’è il sole per essere stylish’. Avere culture e razze diverse in questa città è sempre stata la norma da quando sono arrivata qua nel lontano 1997». E gli inglesi? «Spesso sono molto di circostanza, non si sa mai se sono carini con te per finta o per davvero. Non sono mai maleducati. Il problema qua è quello di tutte le grandi città: è l’alienazione verso il prossimo. Sono 15 anni e passa che sono in questa città le cose sono molto cambiate, in peggio. Anzitutto la criminalità giovanile, tra dodici-sedicenni. Basta pensare a quello che è accaduto con i riots l’estate di due anni fa. Le giovani generazioni sono cresciute con la visione e l’esempio datogli dai loro genitori. Oggi qua si può avere più o meno tutto senza dover fare lo sforzo di guadagnarselo. Lo Stato ti dà una casa se non lavori, ti da dei soldi sei fai 2,3,7 figli anche se non hai di che dargli da mangiare, ti paga l’ospedale se ti ubriachi fino a svenire e stai male. La violenza gratuita che dilaga nelle strade della maggior parte delle capitale inglesi è secondo me dovuta a questo e non a questioni razziali. Non trovo spiegazione a quello che è accaduto a questo povero ragazzo, ma di sicuro quelli che lo hanno ucciso non si sentivano privati dell’opportunità di lavorare».
SOSTEGNO E MILLE POSSIBILITÀ – Claudia ha 26 anni e vive a Brockley, South-east: «Sulla carta è una zona pericolosa, vicino Lewisham e Catford, ma io non ho mai avuto problemi tornando a qualsiasi ora. È a due fermate da London Bridge». La ragazza è arrivata lo scorso gennaio per lavorare come au pair e finirà con la famiglia a dicembre: «Recentemente – racconta – ho iniziato a lavorare per una nota catena di ristoranti italiani, a Covent Garden, ma solo per il week end. Il personale è prevalentemente italiano o polacco ma sono tutti molto disponibili verso i nuovi arrivati e pronti a dare una mano. Per iniziare a lavorare per loro ho sostenuto tre selezioni e il fatto di essere italiana era un plus». La ragazza ha vissuto quasi un anno a Parigi: «Lì ci si sente inadeguati». In Inghilterra è tutt’altra cosa: «Non ho mai assistito a episodi di razzismo nei confronti miei o degli italiani miei amici, anzi, ovunque ci troviamo veniamo accolti con sorrisi e parole di sostegno per il nostro livello d’inglese o la nostra situazione in Inghilterra come a casa». La ragazza però precisa: «Ovviamente non siamo tutti uguali, ma finora non mi sono mai sentita esclusa, emarginata o diversa perché italiana. Ci sono infinite possibilità di lavoro per italiani e non. Certo, quello che è successo è una tragedia, ma credo sia solo un caso isolato».
INDIANO O WHITE BRITISH? – Diego ha 28 anni, ha vissuto in vari quartieri di West London fra zona due e zona cinque. «L’arrivo a Londra – racconta – è stato relativamente bello nonostante tutte le difficoltà iniziali. Nel 2007 era ancora facilissimo trovare lavoro, infatti trovai impiego ancor prima di trovare casa. Dopo 3 anni, in pieno periodo di crisi finanziaria, il lavoro ha avuto un calo netto e mi son visto costretto tornare in Italia trovando un lavoro qua che è durato sei mesi». Londra era meglio: «In Italia ho avuto difficoltà ad essere pagato, altro che Inghilterra, dove queste cose funzionano bene». Tornato in Italia Diego è tornato disoccupato, dei suoi colloqui inglesi ha però un ricordo particolare: «Il pregiudizio è relativo riguardo gli italiani, tant’è che nelle application form per fare dei colloqui lavorativi ti fanno sbarrare delle caselle in base non solo alla nazionalità, ma anche alla tua etnia: latinoamericano, ispanico, biondo caucasico, indiano, asiatico». Spiega che esiste nei form anche la categoria “white british”: «Credo che con questo abbia detto tutto. Degli inglesi non faccio di tutta l’erba un fascio, ma nascondono la presunzione di essere il fulcro della società odierna, fondamentalmente i britannici che ho incontrato si sono comportati con me con pura convenienza ed opportunismo, non so, credo che sia un fattore culturale per loro, non so». Gentili sì, ma il giovane precisa: «Danno a vedere che sono tranquilli nei tuoi confronti, ma quasi con compassione. In ogni caso per quanto riguarda la violenza contro gli italiani, la notizie di un teenager che ha picchiato, violentato, accoltellato qualcuno era all’ordine nel giorno, nel 2008/09 ci sono stati talmente tanti episodi di violenza fra teenager tanto che sui giornali scrivevano addirittura di “knife generation”».
OSPITALI, MA … – Francesca ha 31 anni, è arrivata a Londra quando ne aveva 20: «Ho vissuto lì per 8 anni, in varie zone, Archway zona 2, Blackhorse Road zona 3, West Kensington zona 2, Queen’s Park zona 2 e Wandsworth zona 2. Ho trovato lavoro subito nonostante non parlassi inglese. Ho iniziato a lavorare come cameriera,poi Assistant Restaurant Manager,poi Restaurant Manager ed infine Training Manager,sempre in compagnie inglesi. Adesso sto lavorando come Organizzatrice di Eventi in Italia». Anche lei ha un bel ricordo dell’Inghilterra: «Io personalmente non ho mai vissuto episodi di razzismo in prima persona e sinceramente non ho mai sentito parlare di gravi episodi di razzismo». «In tutti questi anni – racconta – ho constatato che gli inglesi sono sempre molto gentili, apparentemente, ma mantengono il distacco e comunque ti vedono sempre come uno straniero, infatti a Londra nascono legami con tante persone da tutto il mondo ma con pochissimi inglesi. E comunque, penso che a loro non dai “fastidio” fino a quando lavori nell’ospitality dove ci sono pochi inglesi perché è un settore che all’inglese medio interessa poco». Oltremanica si è gentili non sono «interessati a te straniero».
DA TERRA PROMESSA A TERRA REPRESSA – Roberta ha 28 anni, vive a Londra da due anni circa. Si trova nella “periferia del centro”, ma lavora nella City dove è dottoranda di Studi di Genere. «La zona in cui vivo – racconta – è una zona prettamente di immigrati: se incontri degli inglesi o dei britannici si tratta normalmente di immigrati di seconda generazione (giovani famiglie di colore, o indiani), oppure di studenti che non possono permettersi di pagare un affitto nel centro di Londra. Io invece ho scelto di vivere qui perché le persone con cui volevo condividere casa (italiani anche loro) preferivano restare un po’ alla periferia, e spendere un po’ di meno in affitto non dispiaceva». «Non ho mai sentito nessuno lamentarsi di razzismo nei confronti degli italiani. Ho l’impressione che il mercato del lavoro sia quasi saturo anche qui, ormai, e che la terra promessa stia diventando una sorta di terra repressa, dove la gente sgomita per riuscire ad afferrare i posti di lavoro, ed episodi di scortesia e scorrettezza sono all’ordine del giorno. C’è una cosa divertente, però. E’ che qui la maggior parte della gente ama gli italiani e la loro compagnia, il loro modo di fare, e inoltre ammira i nostri cervelli, il nostro pragmatismo e la nostra velocità di pensiero». Inglesi distaccati: «Ho visto turisti cantare a squarciagola sui bus alle sette di sera, quando la gente tornava dal lavoro, o “suonare” come una batteria le strutture interne dei bus, nonostante le ripetute volte in cui gli autisti li riprendevano. Ed erano italiani, li riconoscevo quando parlavano. In queste circostanze ho visto gli inglesi infastiditi, e li ho anche sentiti mormorare stereotipi sull’italiano caciarone e cafone. Ma non lo definirei razzismo. E’ razzismo se su un bus a Roma una signora attempata si mostra infastidita perché una scolaresca fa troppo rumore?».
FACCIAMO ATTENZIONE – «Alloggiavo in casa di una signora che ospitava me, una austriaca e una ragazza spagnola e non c’erano problemi», racconta Luca, marchigiano. «In giro in città (ero a Cambridge) giravano frotte di studenti da tutta Europa, Spagna, Italia, Austria, Francia… di tutto». Secondo il giovane il rischio è quello di un razzismo da “esportazione”: «Io credo che questa bruttissima storia stimoli di più il razzismo italiano, come al solito». Anche per Giuseppe, pugliese, i media stanno gonfiando sulla vicenda: «L’Inghilterra è forse il paese più multietnico al mondo, se c’è razzismo è più un fatto limitato a certi gruppi, tipo turchi e giamaicani, o indiani e pachistani». Quello su cui si dovrebbe riflettere è quello che già si ha: un ragazzo che è andato a cercare lavoro, all’estero, laddove il suo paese, il nostro, non può garantire nulla. Una scelta fatta da milioni di giovani italiani. C’è chi rimane e c’è chi va via. Le indagini sul ragazzo di Nibionno devono ancora delineare dinamiche e movente. «Joele ucciso perché in Italia non aveva un futuro…», twitta in rete Gianluca. Joele ha deciso di cambiare la sua vita a metà ottobre: «Sono in Inghilterra – postava su Facebook – sto cercando di sistemarmi qui. Ho trovato lavoro in un ristorante italiano e ora sto imparando a fare il cameriere. Davvero tutto perfetto». Ragazzi che hanno voglia di fare e imparare. E a volte, non volendo, insegnano qualcosa.