Comprare più vestiti del necessario, lo fa il 51% degli italiani. Contribuendo a inquinare
03/05/2017 di Gianmichele Laino
Fare shopping per il puro gusto di farlo. E via con l’acquisto sfrenato di abiti, borse, scarpe e altri accessori. Il 51% degli italiani svela di aver comprato più vestiti del necessario, secondo un sondaggio commissionato da Greenpeace e condotto da SGW (l’istituto che conduce ricerche di mercato e di opinione) su un campione di 1000 persone tra i 20 e i 45 anni. Non solo: 4 persone su 10 fanno shopping almeno una volta al mese, uno su due afferma che non riuscirebbe a resistere senza fare acquisti ogni 30 giorni e la spesa media per l’abbigliamento si aggira intorno ai 60 euro mensili.
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IL RAPPORTO ITALIANI-VESTITI
Il risultato è che nei nostri guardaroba, magari negli angoli più nascosti, si vanno a confondere capi di abbigliamento nuovi – il più delle volte ancora con l’etichetta – e quelli ormai logori e da buttare. Questo comportamento è più diffuso tra le donne (il 57% rispetto al 45% degli uomini), al sud e tra i giovani compresi tra i 20 e i 29 anni. Molti lo fanno semplicemente per combattere la noia (54%), altri lo ritengono un ottimo antidoto contro lo stress (48%): il risultato, ampiamente diffuso, è quello di aumentare l’euforia e la soddisfazione personale (65%) e di tirarsi su con il morale (52%). Molto incidono, ovviamente, i social network: i consigli degli influencer e dei fashion blogger su Instagram e su Facebook spingono il 36% dei nostri connazionali a dedicarsi a spese pazze in tema di moda.
Spese pazze di cui, ogni tanto, ci si vergogna. Sono tanti, quasi il 45%, gli italiani che, almeno una volta, hanno nascosto a qualcuno gli acquisti fatti in termine di vestiario. Varie le motivazioni che spingono a glissare e a dare risposte evasive sulle proprie buste della spesa: i prezzi d’acquisto ritenuti troppo alti, la privacy, la paura di essere giudicati.
Ma c’è anche un altro fattore da prendere in considerazione. L’industria della moda è sì tra le più produttive del mondo, ma è anche quella più inquinante, con un elevatissimo utilizzo di sostanze chimiche e di poliestere che emette molta anidride carbonica nel suo ciclo produttivo e rende molto difficile il riciclo dei capi di abbigliamento quando sono ormai inutilizzabili. Inoltre, il settore del tessile è quello che consuma più acqua al mondo e che contribuisce maggiormente a sporcare mari e oceani.
IL COMMENTO DELL’ESPERTO SUL RAPPORTO ITALIANI-VESTITI
Nemmeno i temi ambientali, del resto, riescono a placare la febbre d’acquisto degli italiani. Che non rinunciano a un pizzico di narcisismo in più, anzi: «Essere visti per ottenere una sorta di celebrità – scrive Donata Francescato, docente di Psicologia di Comunità a La Sapienza di Roma – è diventato il terzo valore della nostra società dopo ricchezza e potere. L’acquisto di vestiti inutili è qualcosa di compulsivo: del resto, possedere qualcosa è un modo di compensare la distanza tra l’autopercezione e come si dovrebbe essere nella realtà. È una discrepanza che esiste anche in altre forme di disturbi psicologici, come il gioco d’azzardo e l’abuso di alcol».
Ma se proprio non si può resistere a possedere qualcosa di diverso, perché non incentivare le piattaforme di scambio di vestiti e accessori? La pratica è molto diffusa per gli abiti per bambini (esistono siti come Baby-bop e Babyvez) ma potrebbe allargarsi anche nell’universo dei millennials. In più, se non si riesce a fare a meno di entrare in negozi, sarebbe importante dare almeno un’occhiata alle etichette ed evitare quelle aziende che utilizzano abitualmente materiali inquinanti.
(FOTO: Alberto Pezzali/Pacific Press via ZUMA Wire)