Italicum: i punti in cui la legge elettorale è già cambiata

Sostituzione dei dissidenti Pd in commissione, l’ombra del voto di fiducia, la “minaccia” di un ritorno rapido alle urne in caso di ostacoli in Aula. Matteo Renzi ha “avvertito” la minoranza dem: nei piani del segretario-premier la legge elettorale non può essere modificata. «Va votata così come è stata approvata in Senato». Al contrario, la sinistra del partito insiste per cambiare il provvedimento, critica sul nodo dei capilista bloccati e sull’impossibilità di apparentamento in caso di ballottaggio. Eppure, secondo la maggioranza renziana il testo è già stato frutto di mediazione, sia all’interno del partito che tra le forze parlamentari.

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ANSA / MAURIZIO BRAMBATTI

Ecco, punto per punto, com’è cambiata la legge elettorale nei diversi passaggi. Dalle prime bozze figlie del patto del Nazareno (poi strappato) tra Renzi e Berlusconi, fino alle approvazioni del marzo 2014 (Camera) e gennaio (2015).

1- PREMIO DI MAGGIORANZA – Rispetto al testo approvato in prima lettura alla Camera, che attribuiva un premio di maggioranza alla coalizione che otteneva il 37 per cento dei voti, molto è cambiato con il passaggio al Senato. Attraverso l’emendamento Esposito è stata aumentata al 40% la soglia da raggiungere affinché scatti il premio. Non più attribuito però alla coalizione, bensì alla lista. Tradotto, se un partito (o lista) dovesse raggiungere il 40 per cento già al primo turno, incasserebbe 340 seggi, ovvero il 55% del totale (nel quale non sono compresi i 12 deputati eletti all’estero e quello riservato alla Valle d’Aosta, ndr). Altrimenti, le prime due liste andrebbero al secondo turno. Sarebbe il ballottaggio, in questo caso, a designare il “vincitore” del premio di maggioranza e dei 340 seggi. La minoranza Pd ha già rivendicato in passato di aver apprezzato i miglioramenti sul premio di maggioranza (nella prima bozza la percentuale da raggiungere era del 35%, ndr). Ma c’è anche chi ha criticato il premio alla lista.
2- SOGLIE DI SBARRAMENTO – Altro punto sul quale c’è stata una mediazione, dopo le richieste della sinistra Pd (e delle forze minoritarie della maggioranza) è quelle relativo alle soglie di ingresso per la ripartizione dei seggi. Con l’Italicum 2.0, entrerà in Parlamento chi supererà il 3% dei voti. Al contrario, nella prima versione erano previste invece diverse soglie: il 12% per le coalizioni, l’8% per i partiti non coalizzati e il 4% per i partiti coalizzati.
3- PARITÀ DI GENERE – Altro punto modificato è stato quello relativo alla parità di genere, dopo che una serie di emendamenti erano stati bocciati nel primo passaggio, nonostante il pressing di un fronte bipartisan e delle minoranze dem. Una grana per Renzi poi corretta a Palazzo Madama, dopo non pochi imbarazzi. Nell’attuale versione adesso ogni elettore potrà segnalare fino a due nomi sulla scheda elettorale, con alternanza di genere. Sarà però necessario indicare due candidati di sesso diverso, pena l’annullamento della seconda preferenza. Sarà invece libero di esprimere una sola preferenza (o anche di non indicare alcuna). Nell’ambito di ogni circoscrizione, i capilista di un sesso non devono poi essere superiori al 60% del totale.
4 -VOTO PER ERASMUS E PER CHI SI TROVA ALL’ESTERO PER ALMENO TRE MESI – Dopo il passaggio al Senato della legge elettorale, è stata poi sancita la possibilità del voto per corrispondenza per i cittadini italiani che sono all’estero per almeno tre mesi o per motivi di studio (per esempio chi è impegnato nel progetto Erasmus), per lavoro o per cure mediche. Una modifica che ha accolto richieste che arrivavano dalla società civile, sposate da un fronte trasversale di parlamentari.
5- PREFERENZE E CAPILISTA BLOCCATI – Il nodo principale resta però quello legato ai (100) capilista bloccati. Un cambiamento c’è stato rispetto alla prima versione, quando le liste erano del tutto bloccate. Ma per la minoranza dem non è sufficiente. Il motivo? La sinistra Pd ha più volte ricordato che soltanto il partito più votato eleggerà una quota di parlamentari con le preferenze. I partiti più piccoli, al contrario, faranno fatica a eleggere altri deputati rispetto ai capilista.

 

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