Jobs Act: il piano di Renzi per far cadere Letta?
10/01/2014 di Andrea Mollica
Il Jobs Act di Matteo Renzi è un piano per rafforzare il governo espressione del Partito Democratico oppure uno strumento per farlo cadere? Alcune sue proposte sono condivisibili ma così vaghe, e senza coperture finanziarie indicate, che sembrano più pensate per una campagna elettorale che per un’effettiva introduzione in atti legislativi, quantomeno nelle prossime settimane.
DISOCCUPAZIONE CONTRO LETTA – I dati dell’Istat di inizio anno hanno confermato quanto sia difficile, se non drammatica, la situazione del mercato del lavoro in Italia. Il tasso di disoccupazione sfiora il 13%, e la disoccupazione giovanile è arrivata al 41,6%. Due record negativi, che si sommano al miliardo di ore di Cassa integrazione di cui hanno beneficiato i lavoratori italiani delle aziende in crisi. Il lavoro è l’emergenza numero uno del nostro paese, ora che la situazione finanziaria non è più così preoccupante come nei mesi scorsi. Il costo del debito è sceso in modo significativo, e rimanere nei parametri del deficit imposti dai Trattati europei non è più un’impresa impossibile. Presentare il Jobs Act come ha fatto Renzi in un momento così drammatico per il nostro mercato del lavoro può avere due significati, come rimarca il quotidiano tedesco Frankfurter Allgemeine Zeitung. Da una parte può essere un contributo positivo per rafforzare il governo Letta, dall’altra invece può servire per rimarcare quanto sia inefficace l’azione del’esecutivo, e palesare l’esigenza di avere un altro leader alla guida dell’Italia.
CUORE DEL PIANO – Secondo Faz il punto più interessante del Jobs Act è il contratto a tutele crescenti che servirebbe da una parte ad allargare la platea dei lavoratori che beneficiano delle protezioni dell’articolo 18, e sopratutto dei contributi superiori di un contratto a tempo indeterminato, dall’altra invece non irrigidirebbe troppo la fase iniziale di un rapporto professionale. Le critiche sul punto sono però già numerose, perchè Renzi, consapevole di quanto il tema sia delicato e controverso, sopratutto a sinistra, ha preferito presentare il suo contributo in termini volutamente vaghi. L’apprezzamento arrivato da parti molto diverse come la Fiom o Confindustria conferma la sensazione che nel Jobs Act del segretario del Partito Democratico le interpretazioni possano essere molto diverse. Pietro Ichino, che nel 2012 scrisse la parte economica del programma di Renzi per la sua sfida a Bersani, è stato però particolarmente severo con il sindaco di Firenze. Una posizione meno critica ma certo diffidente è stata presa oggi da Francesco Giavazzi, l’editorialista economico del Corriere della Sera piuttosto vicino al segretario del PD.
VAGHEZZA ELETTORALE – I critici del Jobs Act ne evidenziano la vaghezza, a ragione. Il piano è stato presentato come un contributo iniziale da costruire in modo partecipato, per mettere al primo posto dell’agenda del Partito Democratico il tema del lavoro. Rimangono però molti dubbi su quale sia il vero obiettivo dell’agenda del PD, se il governo Letta, di cui è di gran lunga il primo socio, oppure la convocazione di nuove elezioni anticipate. Come nota Faz, in caso di ricorso alle urne in primavera il candidato alla presidenza del Consiglio sarà quasi sicuramente Matteo Renzi, probabilmente senza la convocazione di nuove primarie. Lo Statuto del PD non è stato modificato, e quindi Renzi potrebbe correre da candidato premier in quanto segretario. Bersani non lo fece, ma al momento non si vede nessuno che tra due mesi voglia sfidare il sindaco di Firenze dopo la sua vittoria trionfale alle primarie. Il programma così vago del Jobs Act induce a pensare che si possa trattare più di un libro di intenti per la prossima campagna elettorale, che di un testo da trasformare in un articolato nelle prossime settimane.
QUALI COPERTURE – Il punto più problematico del piano per il lavoro di Matteo Renzi sono le coperture finanziarie. Il destino dell’Aspi della riforma Fornero lo evidenzia: un sussidio di disoccupazione universale esiste già nel nostro ordinamento, ma la mancanza di risorse lo rende sostanzialmente inesistente. Il leader del PD ha parlato solo di un inasprimento della tassazione sulle rendite finanziarie per diminuire l’imposizione sulle imprese, e dei risparmi legati alla spending review da utilizzare per abbassare la pressione fiscale sul lavoro. Coperture largamente insufficienti per finanziare le misure più significative del Jobs Act, che contiene tanto di piani industriali che si presume prevedano investimenti pubblici, ora sostanzialmente bloccati dalle ristrettezze di bilancio. Renzi ha chiuso il suo messaggio nella newsletter personale evidenziano la cospicua ricchezza finanziaria delle famiglie italiane. Una suggestione verso una possibile patrimoniale che appare come una delle possibili fonti di risorse per misure così costose. Punti programmatici senza coperture finanziarie sono il tratto tipico di un programma elettorale, più che di un piano per rafforzare un governo. Le critiche quotidiane dei fedelissimi di Renzi all’attuale governo ne sono un’altra conferma.