La fine dell’amore degli evangelici per Israele
18/03/2014 di Mazzetta
Ebraismo ed evangelici non hanno più la salda relazione di un tempo. Sul fronte cristiano il ricambio generazionale apre delle crepe in quello che un tempo era un sostegno marmoreo e senza incertezza,provocando disagio e risposte dalla dubbia efficacia.
GLI EVANGELICI COME MINACCIA – Chi lo avrebbe mai detto che il ministero degli Esteri israeliano se la sarebbe presa con una conferenza convocata da un’organizzazione evangelica al Bible College di Betlemme definendola uno strumento all’incitamento contro Israele, eppure è proprio quello che è successo nei giorni scorsi, e il suo portavoce Yigal Palmor ha aggiunto che Christ at the Checkpoint è usata per manipolare la fede religiosa per interessi politici. Che poi vuoi dire interessi politici sgraditi, perché fino a quando gli evangelici sbarcavano in torme adoranti la manipolazione della loro fede religiosa a sostegno d’Israele andava benissimo.
I BUONI CRISTIANI – Secondo gli organizzatori la conferenza che si è chiusa venerdì scorso mirava invece ad aiutare a risolvere il conflitto israelo-palestinese sulla base degli insegnamenti di Gesù, esplorare le sfide che pone il processo di pace e discutere «le implicazioni pratiche e teologiche dell’inaugurazione del regno di Dio sulla terra», ma anche «discutere le realtà e le ingiustizie nei Territori palestinesi». E qui gli israeliani proprio non ci vogliono sentire,ma nei 12 punti del manifesto della conferenza, che si tiene da qualche anno ce ne sono altri d’indigesti per Tel Aviv, come il rifiuto della Bibbia come titolo di proprietà della terra o la discriminazione razziale, che secondo gli evangelici più moderni in Israele c’è. C’era un tempo nel quale Bush e Netanyahu bombardavano con il pieno consenso degli evangelici, che era nettamente pro-Israele, oggi invece la maggioranza degli evangelici si pensa equidistante tra le due parti e solo un terzo si può riconoscere ancora in quella definizione di «cristiano sionista» un tempo maggioritaria. C’è da sapere che non era solo per astio verso i perfidi maomettani o per l’amore per l’ebraismo dal quale è sbocciato il cristianesimo, che gli evangelici facevano un tifo tanto convinto per Israele, ma anche per questioni prettamente teologiche, perché attendono il grande conflitto in medioriente che porterà al giorno del giudizio e al ritorno del Messia, e quindi un’Israele guerriera è condizione acconcia alla profezia attesa.
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I CRISTIANI MENO BUONI – Lo zoccolo duro del bushismo si è diluito con gli anni e i fallimenti dell’estremismo crociato alla Casa Bianca, i nuovi predicatori sono più glamour dei vecchi guerrieri come Pat Robertson, meno vicini ai neoconservatori ormai in immersinoe e decisamente inclini a celebrare l’amore cristiano più che la pugna contro l’infedele, tanto che in molti hanno trovato una causa proprio nelle triste condizione dei palestinesi e ora ci sono organizzazioni evangeliche che portano i fedeli a vedere come stanno i palestinesi. E i fedeli tornano a casa sconvolti raccontando l’apartheid dei palestinesi. Impensabile fino a qualche anno fa, quando la maggioranza delle chiese evangelica aderiva alle iniziative di organizzazioni d’ispirazione diversa come Christians United for Israel (CUFI), che quando gli israeliani bombardano Gaza invita i fedeli a pregare per il successo dei bombardamenti. Assai poco cristiano per i nuovi predicatori e anche per i loro fedeli. Una deriva che si è già vista in precedenza nelle chiese protestanti e che mette in difficoltà Israele tra i cristiani americani, visto che con i cattolici non è mai stato amore e che i presbiteriani sono da tempo impegnati nella promozione del boicottaggio dei prodotti israeliani.