La fine dell’amore degli evangelici per Israele

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L’ALLARME – Così si sono allarmati in Israele e si sono allarmati quelli della CUFI, che si sono posti pubblicamente ed esplicitamente il problema di come bloccare questa deviazione dall’antica dottrina, anche se come tempismo ormai siamo al chiudere la stalla dopo che la maggior parte dei buoi sono scappati. La CUFI è molto attiva nella promozione degli interessi israeliani tra gli evangelici e medita una campagna d’allarme tra i fedeli, il rimedio consisterebbe insomma nel metterli sull’avviso in modo che non prestino orecchio agli eretici che non vogliono sostenere Israele senza se e senza ma. Come strategia, vista da lontano, non sembra proprio l’asso di briscola, soprattutto considerando che si tratta di una strategia difensiva, che mira a difendere quel che rimane e non aspira nemmeno a un recupero a breve del terreno perduto. Obiettivo evidentemente ritenuto inavvicinabile in presenza di un chiaro trend di segno contrario e a un’evoluzione demografica che ha mutato il profilo dei fedeli, ma soprattutto quello di un buon numero di predicatori.

IL RISCHIO ANTISEMITISMO – Un problema ulteriore che s’affaccia all’orizzonte è che per quanto il nuovo messaggio evangelico cerchi di posizionarsi sul filo dell’equidistanza tra israeliani e palestinesi, tra certi bravi cristiani al calare dell’islamofobia potrebbe fare da contraltare una crescita dell’antisemitismo, perché pur sempre di confronti tra religioni e presunte vere volontà di Dio si tratta e anche perché l’antisemitismo non è mai stato un’esclusiva dei cattolici tra i cristiani e anche negli Stati Uniti è sempre esistito, anche dopo essere stato espulso dal discorso pubblico dopo la disfatta nazista. Un fenomeno noto, già visto fiorire di recente anche ai margini della crisi ucraina, dove dall’una e dall’altra parte si accusavano misteriosi complotti ebraici come origine del disastro, gli ortodossi sono forse i campioni cristiani d’antisemitismo e ancora oggi c’è un buon numero di pope che non si tirerebbe indietro se ci fosse da benedire un pogrom in difesa di Santa Madre Russia e della sua chiesa.

LA SPECIAL RELATION – Il problema maggiore per Israele è comunque localizzato negli Stati Uniti, perché il franare del sostegno tra gli evangelici indebolisce la causa d’Israele all’interno del partito repubblicano, ma anche la politica estremista e annessionista di Netanyahu, che attualmente in Israele non trova opposizione significativa, ma che non può prescindere a lungo dal consenso americano. Netanyahu continua invece a trattare a pesci in faccia Obama, convinto che una rottura dell’antico patto non sia possibile, ma probabilmente questo modo d’agire paga ora, ma in futuro è destinato a presentare un conto interessi molto salato. Un atteggiamento del genere ha già alienato a Netanyahu e alla destra israeliana il sostegno di molti ebrei americani che aiutano Israele, ma che si sentono americani ed è facile immaginare che con gli evangelici le sue risposte sprezzanti avranno ancora meno successo. Forse è giunto il momento per Tel Aviv di fare di necessità virtù e di adeguarsi ai tempi, aggiustando sia il registro comunicativo che rinfoderando certe pretese, ma per il momento è difficile intravedere tracce di ripensamento in una classe politica che viene da almeno quindici anni nei quali ha potuto fare quello che ha voluto contando sul sostegno cieco e sicuro di Washington.

 

 

 

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