La Maddalena misteriosa
03/02/2010 di Vicky Buonocore
Dipinti poco noti, disiecta membra di personalità, storie dell’arte, uomini e idee.
Tra le pieghe di alcune collezioni storiche, emergono di tanto in tanto taluni dipinti poco conosciuti, di maestri altrettanto poco noti, spesso fiamminghi o nordici. Non è possibile accertare se il dipinto rappresentante un Ritratto in veste di Maria Maddalena, attribuito al Maestro della Maddalena Mansi, venne commissionato da un personaggio italiano oppure giunse nel nostro paese attraverso i consueti canali commerciali particolarmente attivi nel Cinquecento tra le Fiandre e Parma, Venezia, Genova e Firenze. Potrebbe forse apparire in un inventario dei quadri appartenuti a Olimpia Aldobrandini, redatto nel 1626 [Un quadro in tavola con S.ta Maria Maddalena vestita di rosso con tutte e due le mani tiene un vaso alquanto incrostato, alto palmo uno e mezzo in circa con cornice dorata]. Nel secolo successivo pervenne nella raccolta di “primitivi” di Alfonso Tacoli-Canacci [Une femme, demie-figure, vue de face, richement vetue avec un grand collier d’or, tenant sa main droit un vase d’or, bien travaillé en bas-reliefs, et dans sa main gauche le couvercle de ce vase. On pourroit la dire Arthemis], verosimilmente per il tramite del marchese Curti-Lepri, noto collezionista romano con il quale il Tacoli intrattenne documentati scambi di opere.
Il Maestro della Maddalena Mansi veniva individuato in via propositiva da Max Friedlander con Willem Muelenbroec, documentato nel 1501 come garzone presso la bottega di Quentin Metsys. Effettivamente lo stile della tavola Torelli, unitamente alle altre opere riunite dalla critica nel catalogo del pittore, esibisce dei marcati connotati accostabili alla produzione artistica del Metsys che la disattenzione dei radi studi successivi hanno trascurato, non rilevando adeguatamente in tal modo la stretta collaborazione e frequentazione della sua bottega ben al di là del 1505, data fissata dalla critica. Filtrano, dall’impianto compositivo dell’opera, le coeve ricerche e sperimentazioni attuate da Quentin pertinenti il recupero delle fonti originarie della pittura fiamminga combinato con l’assimilazione di alcune soluzioni figurative italianizzanti, come si coglie nella tavoletta: una pronunciata tendenza all’ammorbidimento e alla regolarizzazione dei volumi plastici, una modulazione chiaroscurale impostata sulla resa di “lumi” serici e tendenti allo sfumato piuttosto che per gli squillanti “lustri” fiamminghi. Gli influssi del Rinascimento italiano vanno ricercati nella circolazione delle incisioni peninsulari nonché dalla prolungata presenza e mobilità tra i due paesi di artisti quali Juan de Borgona, Juan de Flandes, Josse Liefenixe, Jan Gossaert, Andrea Solario e Ambrosius Benson, i quali veicolano nelle Fiandre le sensazioni ricevute dalle architetture bramantesche e il gusto della penombra e dello sfumato leonardesco. L’impatto si riflette in maggior misura nella ritrattistica del Metsys e della sua bottega: le forme si ampliano, i colori si ammorbidiscono, il senso di realismo si fa più urgente e si accompagna a una particolare attenzione dedicata alla dimensione fisica e spirituale degli effigiati, incarnando gli ideali di una rinnovata società borghese mercantile in ascesa.
D’altronde il complesso sistema di rapporti e contatti tra Willem Muelenbroec e il Metsys non si esaurisce in uno scambio concettuale, ma in reali prestiti stilistici e iconografici. Molteplici componenti della tavoletta rinviano alla Maddalena con il vaso di Anversa, quali il taglio dei piccoli occhi a mandorla affioranti, la tornitura del viso dall’espressione greve e meditata, il medesimo impianto compositivo con la figura che si impone in primo piano su uno sfondo aperto sul cielo e inquadrato da un arco centinato, il disporsi stereometrico e metallico della massa delle pieghe, infine l’atmosfera di intellettuale pacatezza che pervade la scena. Tali elementi inducono a proporre una datazione del dipinto tra il 1512 e il 1515; difatti sono evidenti i caratteri formali tipici del Muelenbroec in questi anni, quali l’aspetto frontale e rigido delle figure, il colorito povero di cromìa e tendente a sfumature tenebrose, la posizione legnosa delle mani, che impugnano il vaso, dalle lunghe dita e dall’accurata forma delle unghia, l’incerta prospettiva del coperchio, le pieghe metalliche e generose dei panneggi. Ancora più probante è il ricorso, nella resa anatomica della figura, alle incisioni di Albrecht Dürer, precisamente i rami circolanti dopo il 1511 raffiguranti la Piccola Passione e l’Adamo ed Eva, del quale riprende l’impercettibile movimento dei fianchi.
Dal punto di vista iconografico il soggetto della Maddalena appartiene al repertorio della ritrattistica anversese al sorgere del XVI secolo. Identificare il gran numero di dipinti di questo soggetto usciti dalle botteghe di Anversa, nella prima metà del ‘500, con specifici ritratti non risulta difficoltoso e basterebbe, a fugare ogni dubbio, lo studio della tipologia dei volti di ogni singola opera, riconducibili a fisionomie individuali. La diffusione nei paesi nordici di questa serie di immagini era favorita dal culto di Maria Maddalena, intesa come sintesi delle tre Marie, e affondava le sue radici nella tradizione agiografica risalente al XII secolo. La tesi dell’unità delle tre Marie trovò largo consenso nella chiesa d’occidente a partire dal VI secolo con Gregorio Magno seguito da Isidoro di Siviglia, dal Venerabile Beda, Rabano Mauro, Odone di Cluny, San Tomaso d’Aquino e Bonaventura da Bagnoregio. Venne contestata nel 1518 da Lefevre d’Etaples nel suo De Maria Magdalena et triduo Christi disceptatio. In Francia e in Renania sorse nel 1255 l’Ordo de Penitentiae Beatae Mariae Magdalenae riservato solo a rappresentanti del sesso femminile; in Germania nello stesso torno di tempo venne fondata la Weissenfron, le Dame bionde della Compagnia della Maddalena. L’apertura attuata dalla scuola di Anversa alle novità formali del primo Cinquecento d’altronde poggiava le fondamenta su istanze ed echi culturali ancora medioevali. Se il prototipo formale del ritratto in veste di Maddalena risulta chiaramente riconoscibile nel dipinto di Piero di Cosimo conservato nella Galleria Nazionale di Palazzo Barberini eseguito alla fine del XV secolo, il processo di assimilazione iconografico nell’Europa del nord prende spunto dalla rivisitazione di una varietà di fonti religiose e letterarie di carattere medioevale: un primo fattore può essere ricercato nel movimento fiammingo di impronta laico-religiosa denominato devotio moderna, movimento fondato nel tardo ‘300 da Jan Van Ruysbroec (1293-1381), mistico fiammingo che risistemò ed organizzò nella devotio moderna alcuni movimenti delle Fiandre e della Renania. La sua mistica rivive in chiave cristiana la teoria platonica del flusso e del riflusso in cui l’anima viene rapportata all’immagine della Trinità. La sua influenza nell’Europa del nord fu vastissima e si estese nel Cinquecento inoltrato, aiutata da una vigorosa capacità di sintesi didattica della dottrina. Nelle riflessioni religiose il devoto doveva contemplare la Passione e identificarsi nel dolore dei personaggi evangelici, condividendone il sentimento, quindi in primo luogo la Vergine, Giovanni Evangelista e Maria Maddalena e se un seguace era un soldato poteva identificarsi con Longino e così via.