La mappa mondiale del terrorismo
06/12/2012 di Valentina Spotti
L’Istituto per l’Economia e la Pace ha pubblicato oggi il suo Global Terrorism Index, rapporto annuale che misura l’impatto del terrorismo nel mondo. I dati, a lungo raccolti ed elaborati, sono relativi al 2011. Il risultato è espresso con una sorta di mappa termica che vede i paesi più a rischio rispetto a quelli considerati più sicuri.
ASIA A RISCHIO – Il Washington Post ha ripreso l’analisi dell’Instiute for Economic and Peace, mettendo in evidenza alcuni aspetti dello studio. Innanzitutto, l’Iraq rimane il paese più esposto al rischio terrorismo, ma l’allarme si è esteso a tutta l’Asia meridionale. Se è vero che l’Iraq non si è ancora stabilizzato dopo l’intervento americano del 2003, è altrettanto vero che paesi come Pakistan, Afghanistan e India sono diventate aree fortemente a rischio. Nel sud-est asiatico il paese più “caldo” è la Thailandia, in Europa la Russia e in Africa la Somalia, seguita dalla Nigeria.
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IL CASO IRACHENO – Secondo i dati, inoltre gli attacchi terroristici starebbero diminuendo, ma l’allarme resta sempre molto alto. E più si torna indietro nel tempo più questo trend si fa evidente. il grafico elaborato da Global Terrorism Index come l’Iraq sia stato teatro di un altissimo numero di attacchi terroristici e il picco, sorprendentemente, lo si ha avuto nel 2007:
RISCHIO DIFFUSO – Ma una seconda metrica, elaborata dal Center for Systemic Peace, mostra quali sono i paesi maggiormente esposti al rischio di attacchi terroristici isolati dopo l’11 settembre. L’Iraq resta sempre al primo posto, ma con il passare degli anni il rischio è aumentato anche in Pakistan e Afghanistan e, in misura minore, anche in Russia. Tuttavia, il dato più allarmante riguarda l’aumento del rischio di attentati nel resto del mondo, un rischio diventato più reale negli ultimi 12 mesi. In altre parole, significa che sta diventando sempre più difficile prevedere dove il terrorismo potrebbe colpire.
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MATRICE RELIGIOSA – Inoltre, continua il Washington Post, gli attacchi terroristici continuano ad essere perpetrati, per la maggior parte dei casi, da gruppi religiosi. Lo studio dell’Institute for Economics and Peace ha identificato tre matrici differenti dietro gli attacchi: ideologia religiosa, politica o nazionalista/separatista. Va specificato che non si tratta mai di una divisione netta, perché i vari gruppi legati al terrorismo tendono ad abbracciare tutte e tre le ideologie, una strategia che ha come effetto quello di allargare la base degli affiliati. Nonostante non si tratti di dati precisi, la metrica mette in risalto la predominanza dell’ideologia religiosa dietro agli attacchi terroristici, mentre la matrice politica sembra riguadagnare terreno rispetto al passato recente:
TERRORISMO NEGLI USA – Lo studio mette anche in evidenza come il terrorismo sia in declino negli Stati Uniti e in generale in tutto il Nord America: a conti fatti è la regione che ha sofferto meno attacchi tra il 2002 e il 2011, per un totale di 23 vittime in dieci anni. I gruppi più pericolosi? Il Fronte per la Liberazione della Terra, il Fronte per la Liberazione degli Animali e e gli attivisti contro l’aborto. I gruppi considerati più pericolosi, come al-Qaeda, i Talebani, il KKK e i relativi affiliati sono i responsabili solo del 3% degli attacchi. Ma, allo stesso tempo, sono anche il motivo per cui tutti i paesi del mondo hanno rafforzato le proprie misure di sicurezza.
AFRICA – La maggior parte dell’Africa è sicura, nonostante la i conflitti in Somalia e in Nigeria siano seri e sanguinosi. Nel corso del 2011, la situazione non sembra essere peggiorata nemmeno in Mali e in Congo, anche se nel 2012 c’è stato un evidente inasprimento del conflitto in questi paesi.
LE GUERRE FINISCONO – “Sembra ovvio – conclude il Washington Post – ma vale la pena di ricordare che alcuni dei paesi che sono stati colpiti da attacchi terroristici soltanto un decennio fa ora sono più sicuri. Questo vale sopratutto per i paesi dell’America Centrale, come Nicaragua, El Salvador e Guatemala. È facile credere che ci siano paesi “naturalmente” più violenti di altri, ma non c’è nulla che fa pensare che questi conflitti siano infiniti”.
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