La marijuana non è più doping, o si?

16/05/2013 di Maghdi Abo Abia

IL CASO DELPOPOLO – Nel 2012 venne squalificato per la presenza di tetracannabinolo nelle urine il judoka statunitense Nicholas Delpopolo. In questo caso, così come in quello di Rebagliati, bastò la presenza della sostanza nelle urine. Il ragazzo si giustificò che giorni prima della gara incriminata, disputata il 30 luglio scorso, aveva consumato un pasto cotto con la marijuana. Inevitabile la squalifica, suffragata anche dalle norme della Wada. Ma certo appare una punizione fin troppo eccessiva in grado di colpire coloro che cercano un momento ricreativo, indipendentemente dal fatto che questo possa essere considerato lecito o meno.

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LA SPINTA ALLA DEPENALIZZAZIONE IN AUSTRALIA – Ci sono Paesi che hanno lanciato una crociata nei confronti della presenza della cannabis nell’elenco delle sostanze proibite. Parliamo dell’Australia, il cui Comitato Olimpico ha combattuto molto nei confronti della Wada nel tentativo di “allentare” la sua morsa sugli atleti. The Age ci racconta che già nel 2012 la Wada, nella figura del suo presidente John Fahey, stava pensando di modificare la lista delle sostanze proibite prendendo in considerazione gli effetti delle stesse nei singoli sport. A spingere verso questa decisione un gruppo di componenti di diverse federazioni sportive australiane provenienti dall’atletica, dal cricket, dal nuoto, dal football e dal rugby.

LA RISPOSTA DELLA WADA… – Fahey, rivolgendosi a queste persone, ha spiegato che la loro preoccupazione era data dal fatto che, almeno per quanto riguarda certi sport, la marijuana non avrebbe potuto portare benefici quindi non vi sarebbe stato un imbroglio. “Non voglio esprimere un’opinione -ha continuato Fahey- ma ho solo preso atto della richiesta e che questa verrà analizzata. Già esistono sostanze bandite in certi sport ed autorizzate in altre e questa potrebbe essere una soluzione, ma deciderà l’associazione”. La stessa Wada poi, nonostante una positività alla cannabis riscontrata nei giorni di gara implichi una squalifica fino a due anni, negli ultimi tempi ha imposto “fermi” di tre mesi o ha solo provveduto ad ammonizioni formali.

…E DEL COMITATO OLIMPICO LOCALE – L’alleanza degli atleti australiani, ovvero l’associazione delle federazioni che vorrebbero la depenalizzazione della marijuana, dal canto loro sostengono la pericolosità di questa sostanza ma allo stesso tempo vorrebbero che non venisse considerata tra i prodotti in grado di migliorare le prestazioni. Peccato però che la posizione ufficiale delle singole federazioni sia stata “mortificata” dalle decisioni del Comitato Olimpico Australiano. Sempre “The Age” ha riportato la voce di John Coates, a capo dello sport nel paese oceanico, il quale per spiegare l’atteggiamento mantenuto dal suo Paese in occasione delle Olimpiadi di Londra è stato chiaro: “chi verrà pescato con dell’erba verrà mandato a casa con il primo volo”.

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TOLLERANZA ZERO – La posizione dell’autorità quindi va in evidente contrasto con le richieste delle singole federazioni ma a quanto pare la cosa non interessa a Coates: “la nostra posizione è di tolleranza zero dall’apertura alla chiusura del villaggio. Vogliamo il miglior comportamento possibile dai nostri atleti. Fino a quando saranno sotto il nostro controllo gli atleti non dovranno usare sostanze proibite e ci riserviamo la possibilità d’ispezionare le loro stanze, anche a sorpresa”. A riprova di come le federazioni sportive ed i comitati olimpici viaggiano a due diverse velocità, nonostante la Wada sia espressione del Cio, voluta nel 1999 per combattere la crescita esponenziale del doping nello sport.

I DUBBI DEL GOLF – La decisione dell’agenzia mondiale antidoping ha lasciato di sale anche altre federazioni. Parliamo ad esempio del Golf. Come ci spiega Golfweek ci sono ancora dubbi sulla reale portata di questa novità per quanto riguarda il Pga Tour. In questo sport la cannabis è già considerata “ricreativa”, fin dal 2008. Ciò significa che non viene intesa come migliorativa delle prestazioni fisiche. Julie Masse, direttore della comunicazione Wada, ha spiegato che la loro intenzione è quella di occuparsi di coloro che abusano nell’uso di queste sostanze escludendo tutti quelli che fumano lontano dalle competizioni. La decisione dovrà sposarsi con quella della Ncaa, la federazione che organizza i tornei di basket universitari negli Usa, dove il limite è stato abbassato da 15 a 5 nanogrammi.

LA STORIA DI MATT EVERETT – Tornando a parlare di golf, Yahoo! ci spiega che per la Pga questa novità assume i caratteri di una “nebulosa” visto che è difficile capire come si potrà stabilire l’uso ricreativo. Nel golf, come detto, già dal 2008 è stato depenalizzato l’uso della cannabis e coloro che vengono trovati positivi ricevono una sanzione senza che la loro disavventura venga resa pubblica. Qualora poi si arrivi ad una squalifica, questa non dipende dall’uso di cannabis ma solo dalla condotta non professionale dell’atleta. Evocativo il caso di Matt Everett, arrestato nel 2010 per possessi di marijuana nel corso del John Deere Classic e poi squalificato per tre mesi proprio per via del suo comportamento. Su Yahoo si pone poi il dubbio sull’effettiva efficacia della decisione Wada, la quale a quanto pare diventerà attiva solo tra due anni.

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RAZIONALITA’ O PRECONCETTO? – La decisione dell’agenzia mondiale antidoping ha scoperchiato una situazione quantomeno imbarazzante, perché sembra che la marijuana sia inclusa nella lista delle sostanze dopanti solo per una questione di preconcetto. Le federazioni sportive hanno chiesto per anni l’eliminazione della sostanza dal libro nero portando come prova il fatto che non migliori le prestazioni. I comitati olimpici invece chiedono un comportamento etico e pulito che invade la vita personale degli atleti, indipendentemente dal miglioramento delle loro prestazioni. L’ente presieduto da John Fahey ha quindi cercato un compromesso, alzando il limite e “proteggendo” coloro che si sono fatti una cannetta nei giorni precedenti alla gara. Probabilmente è più una decisione di buon senso rispetto ad una legalizzazione vera e propria. (Photocredit Lapresse)

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