La Pazza Gioia: Paolo Virzì commuove ed entusiasma Cannes – RECENSIONE
14/05/2016 di Boris Sollazzo
LA PAZZA GIOIA –
A Cannes, l’ultimo film di Paolo Virzì, La pazza gioia, non poteva che finire nella “sezione più scapigliata e meno pomposa”, come l’ha definita lo stesso regista. Quella Quinzaine des Realisateurs che per dirci che è altra cosa rispetto al Festival di cui è costola – nacque biblicamente da un’occupy Cannes ante litteram – ha le sue regole (file senza priorità a seconda dei colori della tessera che hai il collo) e persino il suo accredito. E un pubblico esigente, un circolo di migliaia di persone che non si accontentano. Quindi esservi prima ammessi e poi applauditi è qualcosa che non è da tutti. In particolare in un’edizione come questa, dal cartellone importante e con scelte forti.
LA PAZZA GIOIA, LA TRAMA –
Beatrice Morandini Valdirana e Donatella Morelli. Due donne diverse, opposte, punite dalla vita. E probabilmente la loro unica colpa è la libertà di vivere la loro vita oltre schemi e convenzioni. Finiscono in una comunità terapeutica, dopo aver reagito al mondo che non le capiva, giudicandole e basta. La prima è una moglie borghese raffinata e pedante, la seconda una giovane donna con l’abisso dentro, è popolare e diretta. Non si sopportano a prima vista, ma alla fine si troveranno, nelle fragilità l’una dell’altra, nella fuga che arriva per caso e che diventa, però, avventura e romanzo di formazione. Le due cercano se stesse in un viaggio che toccherà i luoghi e le persone più importanti della loro vita, quelli che l’hanno svuotate e, agli occhi degli altri, sconfitte. E alla lunga si finisce per pensare che i matti siamo noi e non queste due sorelle per caso che non hanno alcun timore ad affrontare le loro esistenze dolenti senza rete.
LA PAZZA GIOIA, LA RECENSIONE –
Il grande regista è quello che sa percorrere le età del suo cinema con curiosità, imprevedibilità, sensibilità. Viene in mente Almodovar, ad esempio, che da Tutto su mia madre ha intrapreso una strada più intima e familiare, dopo quella prima parte di carriera rutilante e sferzante. Ma gli esempi sono tanti. E Virzì, che fortunatamente non ha solo una freccia al suo arco, per quanto appuntita (quella cinicommedia che lo fa essere, senza retorica né forzature, l’erede moderno di Monicelli e Risi), ce l’ha detto molto presto quando, con Tutta la vita davanti, che era ed è l’anello di congiunzione con le sue opere più recenti, in cui scandaglia l’universo femminile (Il capitale umano escluso, che non a caso è un adattamento di un romanzo, ma che ha comunque il germe della sua nuova produzione nella Gioli come nella Bruni Tedeschi, Carla è una sorta di sorella, o sequel di Beatrice) con una dolcezza e un’attenzione che ha sempre avuto ma che prima lasciava ai margini. E così la lucidità feroce di un tempo serve a tratteggiare un mondo squallido e lo sguardo più romantico a dipingere eroine speciali, capaci di uscire fuori dalla mediocrità aurea della normalità del buon senso con il coraggio di essere se stesse. Sono le figlie, Beatrice e Donatella, di quella splendida Anna de La prima cosa bella. Se Virzì prima ci mostrava chi galleggiava in un mondo sbagliato, con cialtroneria e ironia, ora invece ci indica chi ha il coraggio di correre con il vento nei capelli, senza paura di spettinare la propria vita già ben messa in piega da altri (o magari nascosta da una parrucca blu). E ci riesce benissimo: lo vedi dalla regia, anche più armoniosa e capace di cavalcare la storia spesso, pedinarla sempre, a volte coglierla di sorpresa. Dalla fotografia, dal montaggio, dalle musiche del fratello Carlo e ancor di più dalla scrittura, qui portata avanti con Francesca Archibugi.
C’è da dire però che la marcia in più sta in come vengono dirette le attrici e nella loro recitazione, capace di coprire tutti i registri: melodrammatico, comico, tragico, intimista, persino avventuroso. Si diverte Virzì, con un pizzico di Thelma e Louise e parecchio de Il sorpasso, ma al femminile. Si divertono le sue straordinarie interpreti: vi sfidiamo a trovare un’opera cinematografica in cui Valeria Bruni Tedeschi sia così bella, simpatica (sì, anche nel senso etimologico del soffrire insieme), coinvolgente. E brava. E Micaela Ramazzotti, con istinto e talento si appropria di Donatella, impedendoci qualsiasi giudizio, facendoci immergere in quel mix di ingenuità e disperazione, di infantile bisogno d’amore e di incoscienza. Corrono, le due, perché da una società così, da un mondo così, si deve fuggire. E poi tornare forse dove ti vogliono bene, dove c’è una famiglia che non ha il tuo stesso sangue ma la tua stessa anima.
LA PAZZA GIOIA, IL TRAILER –
E’ un affresco di vita e vitale La pazza gioia, un commovente viaggio al centro di ciò che è importante, di anime perse ma mai sconfitte. E’ delizioso anche nei suoi ritratti laterali (Valentina Carnelutti, che meraviglia quella psicologa così umana, e le partecipazioni di Galiena e Messeri, poi).
Raccontaci ancora Paolo, di queste donne meravigliosamente sbagliate. Ho l’impressione che non ci stancheremo (e stancheremmo) mai.