La pillola con il microchip
17/01/2012 di Redazione
iL placebo contenente il dispositivo delle dimensioni di un granello di sabbia potra’ essere ingerito assieme alle altre medicine
Un microchip ‘commestibile’ che il paziente puo’ ingerire in pillole permettera’ ai pazienti di seguire i consigli del medico e monitorare la propria salute: sembra il futuro prossimo venturo, e invece sta per diventare realta’ nelle farmacie del Regno Unito.
I DATI – Lloydspharmacy, una delle maggior catene di farmacie britanniche, ha firmato un accordo con la societa’ californiana Proteus Biomedical per la commercializzazione di pillole che, grazie al microchip, comunicano con un cerotto applicato alla spalla del paziente. Costo al pubblico, circa 50 sterline al mese. Il cerotto, che riceve i segnali dal chip ingerito e li incrocia con altri dati relativi al sonno, temperatura e battito cardiaco, manda a sua volta l’insieme delle informazioni a cellulari e computer di proprieta’ del malato, o di chi si occupa di lui, o del suo medico curante.
HELIOS – Il pacchetto, battezzato Helios, arrivera’ in farmacia in settembre. mentre il cerotto dovra’ essere cambiato settimanalmente. Lo scopo e’ di migliorare la terapia per malati cronici che, ad esempio, dimenticano di prendere le medicine prescritte: e’ una buona meta’ dei pazienti, secondo le stime dell’Oms, che in questo modo si provocano complicazioni non necessarie oltre a causare sprechi di farmaci che costano al servizio sanitario nazionale in Gran Bretagna quasi 400 milioni di sterline l’anno.
GRANDE FRATELLO? – Il servizio sara’ offerto a malati di diabete e con problemi cardiaci cronici: ‘L’idea e’ di dare tranquillita’ a individui alle prese con complicati regimi terapeutici e metterli in contatto con la famiglia, gli amici e le persone che si prendono cura di loro’, ha indicato un portavoce di Proteus. La joint venture ha d’altra parte provocato perplessità tra i garanti della privacy. Secondo Nick Pickles, direttore del gruppo Big Brother Watch, potrebbero esserci rischi dal momento che pazienti e le loro famiglie ‘non hanno il completo controllo sul totale dei dati raccolti e su quante persone possono avervi accesso’. (ANSA).