La rivolta dei piccoli contro i poteri forti

LA RIVOLTA DEI PICCOLI – Ecco quindi che la rivolta dei “piccoli” contro Mediobanca e Unicredit, nel momento particolare che vive il capitalismo italiano e con la Borsa così deprezzata, va a infilarsi come una fastidiosissima pulce sotto la pelle dell’elefante. E ancora una volta Arpe si trova ad aprire una breccia enorme nel muro del capitalismo di relazione italiano. Proprio in un momento in cui appare difficile alle “seconde linee” Monte dei Paschi di Siena e Caltagirone poter intervenire. Giovanni Pons su Repubblica spiegava oggi quali potrebbero essere i successivi scenari:

Se Unipol non dovesse intervenire, infatti, l’aumento di capitale Fonsai potrebbe andare avanti lo stesso con il supporto di Palladio, Sator (200 milioni a testa di disponibilità liquide) e magari molti altri investitori interessati a entrare a prezzi convenienti. In secondo luogo, l’aumento di Fonsai è stato fissato a 1,1 miliardi perché Unipol e Mediobanca pensano di fonderci dentro anche Premafin, che si porta appresso 340 milioni di debiti. Nella sostanza la fusione di Premafin in Fonsai si configura come un “leverage” che verrebbe pagato dagli azionisti di minoranza della compagnia chiamati a sottoscrivere un aumento più elevato del dovuto. Terza considerazione, ora per la Consob sarà ancora più difficile concedere a Unipol-Premafin l’esenzione dall’Opa a cascata su Fonsai. Se vi sarà, come previsto, un cambio di controllo in Premafin addirittura a premio, perché esentare il lancio di un’Opa su una controllata che ha la fila degli investitori fuori dalla porta pronti a immettere risorse fresche? Insomma il teorema del salvataggio di ultima istanza con gli assicurati in balia dei marosi e i creditori in fibrillazione fa acqua da tutte le parti


LA STRATEGIA DI ARPE – Tutto bene, insomma? Non proprio, o meglio non solo. L’operazione di Arpe e Meneguzzo, tra i tanti pregi, soffre del difetto solito delle mosse di Arpe: ovvero che dal punto di vista della liquidità, se Atene piange Sparta non ha nulla da ridere. Il problema di Arpe è che, al di là delle alleanze che può portare nella partita – e che però sono storicamente mutevoli – non ha comunque la stessa possibilità di movimentare capitali dei suoi competitor. I quali però potrebbero uscire regolarmente dissanguati da una battaglia in campo aperto. Ma la strategia dell’ex Capitalia forse è cauta allo stesso modo: nel prossimo futuro l’elemento decisivo nella partita sono i regolatori. La Consob, Bankitalia e soprattutto l’Isvap possono far saltare qualunque piano. E mettere i bastoni tra le ruote a Mediobanca e Unicredit come anche allo stesso Arpe. Ancora una volta sarà l’arbitro a decidere come finirà la partita. Purtroppo, storicamente gli arbitri italiani hanno sempre avuto il problema della sudditanza psicologica. Ma forse stavolta…

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