La tratta delle promesse spose in Italia
10/04/2014 di Stefania Carboni
L’ha prelevata da casa, caricata su un aereo per il Pakistan e portata via dalla sua città. Una sedicenne di origine pakistana, dalla nascita residente ad Ariccia, comune dei Castelli romani, è scomparsa così per poter sposare un cittadino pakistano a cui era stata promessa in moglie. Storie, il più delle volte sconosciute, che hanno in comune una sola: matrimoni forzati, decisi e combinati sotto il nostro naso, in Italia. I carabinieri di Velletri hanno fermato l’uomo, di ritorno da Dubai, con ancora le copie dei documenti personali della ragazza in valigia e il certificato di matrimonio contratto dalla minorenne in Pakistan. Attraverso canali di contatto internazionale si sta cercando di riportare la minore in Italia: dai suoi genitori, che ne avevano denunciato la scomparsa lo scorso novembre.
IL MONITORAGGIO ASSENTE – Come è possibile che in Italia si possa rapire una minore per poi “venderla” al promesso marito? Nel nostro paese manca in realtà un monitoraggio nazionale in merito al fenomeno. Qualcuno però ci ha provato e ha raccolto queste storie. È il caso di Trama di Terre che ha per esempio monitorato l’Emilia Romagna. Ora, con Action Aid, e il contributo di Fondazione Vodafone Italia, ha avviato un progetto sperimentale in Italia sulla comprensione, analisi e creazione di conoscenze sul tema dei matrimoni forzati. Il lavoro intitolato “Contrasto ai matrimoni forzati” punta alla creazione di un network nazionale ed internazionale di operatori ed organizzazioni attive in questo ambito. A Bologna si è già parlato di linee guida da seguire. Eppure finora i documenti prodotti sono solo frutto della buona volontà di realtà ed associazioni locali.
I DATI DELLA TRATTA IN EMILIA-ROMAGNA – «Una ragazza di venticinque anni si è sposata per avere i documenti, la cittadinanza. Ha pagato un cittadino italiano. Dovevano vivere separati, ma lui l’ha costretta a consumare il matrimonio. Una sofferenza enorme. Lei aveva paura che venisse fuori che l’aveva pagato». Questa è solo una delle tante testimonianze che viene fuori dal report di Trama di Terre. L’associazione ha individuato nel 2009 33 casi di matrimoni forzati in terra emiliana di cui solo in tre casi le vittime erano uomini costretti alle nozze. «In 20 casi – spiegano dall’associazione – il matrimonio forzato risulta avvenuto, in 11 casi i matrimoni sono stati celebrati all’estero. In 10 casi le ragazze coinvolte erano fidanzate con ragazzi non scelti dalla famiglia, circostanza che ha accelerato la celebrazione del matrimonio imposto dalle famiglie». Sta tutto nero su bianco nel documento stilato anche con Action Aid sulle Linee guida ai matrimoni forzati.
Dalle interviste effettuate è emerso che a chiedere aiuto sono state soprattutto marocchine/i (12) pakistane/i (5) indiane/i (5). Un solo caso ha visto coinvolta una donna italiana. Il dato rispecchia la presenza delle comunità sul territorio: la percentuale di stranieri residenti nel territorio all’epoca della ricerca era pari al 15,6% per il Marocco, 3,1% per il Pakistan e 3% per l’India. Dalle interviste sono emersi oltre ai matrimoni forzati anche fatti di sangue gravi, riguardanti tutti famiglie di origine pakistana: in particolare sono stati riferiti tre omicidi presunti di ragazze, che sarebbero stati eseguiti in Pakistan. Dei casi riportati, solo tre matrimoni risultano essere stati celebrati prima dell’immigrazione in Italia: uno in Marocco, uno in India e uno in Tibet.
UNA CASA PER CHI DICE NO – Trama di terre dall’estate del 2011 accoglie in una casa-rifugio giovani donne straniere che scelgono di sottrarsi all’imposizione del matrimonio. Le dieci ragazze accolte dall’associazione nei primi due anni vengono da diverse storie di vita, istruzione e provenienza. L’età varia dai 17 ai 24 anni, e molte di loro provengono da famiglie musulmane praticanti. Spesso in questi ultimi casi “il pretendente ideale per organizzare un matrimonio combinato rimane ancora il cugino, che ha il diritto prioritario, rispetto a ogni altro uomo”, spiega il report.
Il matrimonio fra consanguinei ha sempre assolto a più funzioni: la salvaguardia dell’unione familiare, essendo entrambi i coniugi condizionati dall’influenza delle rispettive famiglie che conoscono gli sposi fin da bambini; la salvaguardia del patrimonio, che così facendo rimane all’interno della famiglia allargata; e l’assistenza dei genitori anziani. Se il matrimonio dà anche la possibilità di arrivare legalmente in Europa avrà ancora più valore.
Se non c’è il papà i doveri di famiglia li assume il fratello maggiore. Le mamme ci sono ma hanno un ruolo decisamente meno emancipato. Aspetto da non sottovalutare è quello relativo alle ragazze di seconda generazione, dove l’identità che emerge è in genere “doppia”. Da una parte il Paese d’origine, dall’altra quello di immigrazione. Così, anche se si rifiuta lo stereotipo della donna “oppressa”, si riproduce un immaginario femminile della terra d’origine specialmente nei valori affettivi e familiari della persona. Non solo, ci sono legami matriarcali differenti. Il report cita due diversi casi di cronaca, entrambi italiani. Hina Saleem, pakistana, è stata uccisa dal padre e seppellita nell’orto di casa a Salezzo (Brescia) il 10 agosto 2006. In quel caso fu sottolineata la complicità della madre, avvenuta nella coscienza della condanna a morte della figlia. Diverso è invece il caso di Nosheen Butt, ventenne pakistana, e di sua madre Begm Shnez, 46 anni, uccisa a colpi di pietra come in una lapidazione a Novi di Modena il 3 ottobre 2010. La donna si era schierata dalla parte della figlia. Morta per difendere la sua piccola che aveva rifiutato il matrimonio forzato.
NON POTEVO SCIOGLIERE I CAPELLI – M. di 17 anni racconta così la sua storia all’associazione: «Mio fratello non voleva che io andassi a scuola perchè diceva che avrei iniziato a frequentare maschi, come facevano le altre ragazze. Prima in Pakistan era tranquillo, anche i miei primi 2 anni in Italia. Mio fratello è cambiato quando frequentavo la 3 media, prima lui non mi picchiava. La prima volta mi ha picchiato per la scuola, poi i motivi sono stati i miei capelli sciolti, se passavo troppo tempo in bagno, persino se guardavo fuori dalla finestra. I miei hanno tentato di intervenire ma nulla lo fermava. Li accusavo di non riuscirci perchè ero femmina, ero arrabbiata, non mangiavo, non parlavo con loro. Allora mi facevano i regali, ma io non li accettavo». Quali sono i campanelli d’allarme? Sono tutti indicati nel lavoro dell’associazione e di Action aid con relative guide per potersi confrontare e guidare le ragazze nel miglior modo possibile (anche in caso di gravidanza). Moltissime volte la segnalazione di “matrimoni” avviene tramite la scuola, con un contatto fisso con amiche o insegnanti. «La ragazza – spiegano – viene maggiormente sorvegliata, “accompagnata” dai familiari in situazioni in cui prima non accadeva, le viene improvvisamente vietato di accedere ad attività scolastiche, extracurriculari o extrascolastiche, e di incontrare amiche o conoscenti. Altri indicatori di una possibile promessa di matrimonio possono essere: assenze delle ragazze frequenti e prolungate da scuola o l’improvvisa decisione di abbandonare la scuola, anche se in apparenza giustificata da problemi familiari, morte di un parente». O anche un rientro repentino per le vacanze. Il tutto è accompagnato da un calo dei voti, un deperimento fisico della giovane, un malessere ed una tristezza senza apparente motivo.
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EUROPA E LEGGI ITALIANE – Ci devono pensare scuola o amici di una vita conosciuti in Italia? Spesso sì. Nello stivale non c’è un monitoraggio del fenomeno. E nel resto d’Europa? Si fanno grandi passi. Nel Regno Unito, ad esempio, c’è una unità apposita The Forced Marriage Unit (FMU), istituita dal governo. Altri casi d’eccellenza sono la Svezia (con un piano di azione nazionale), la Norvegia , la Danimarca. La legge italiana tutela i casi in cui non c’è pieno consenso sulle nozze da entrambi i coniugi. Se il sì di uno dei due è viziato, quest’ultimo può chiedere l’annullamento del matrimonio (art. 122 del Codice Civile). Il dossier steso dal Rapporto Ombra (sulla Convenzione Cedaw) sottolinea proprio le soluzioni giuridiche in merito. Tutto liscio? Per niente. I problemi subentrano quando si è extracomunitari. Secondo la normativa italiana se il matrimonio è stato correttamente celebrato, secondo le forme previste dalla legge del Paese di origine, esso deve essere riconosciuto in Italia. L’autorità italiana può verificare nel dettaglio il consenso? No e l’assenza di tale controllo aumenta di fatto i casi di sequestri delle giovani donne che vivono nel nostro Paese. Come quello accaduto a novembre per la minore dei Castelli romani. La mancata applicazione di controllo e verifica, nonché il vuoto giuridico in merito, non solo lasciano un far west aperto ma tutelano l’impunità di tali forzature. E se ci sono i figli di mezzo? Peggio. In caso di sentenza straniera di divorzio, si garantisce il riconoscimento automatico solo nel limite della non contrarietà all’ordine pubblico internazionale. Cosa vuol dire? Il Rapporto ombra riporta le difficoltà citando un caso in particolare:
Ad esempio, se con atto formato davanti ai giudici marocchini la donna straniera viene ripudiata, ai sensi della Moudawana i figli vengono affidati al padre, che è il solo a poter esercitare la potestà genitoriale a seguito del ripudio. Dunque, la madre straniera presente in Italia, che vorrà ricongiungere a sé in Italia i figli affidatigli in Marocco, in assenza del consenso del padre al trasferimento, incontrerà ostacoli insormontabili all’esercizio del diritto di visita e delle altre facoltà genitoriali, a lei riconosciute dalla legge italiana. Infatti, in questi casi le autorità consolari non rilasciano il visto per l’ingresso dei minori in Italia.
E nei casi di matrimonio secondo il rito tradizionale rom? Sul punto esistono due pronunce della Corte di Cassazione, entrambe del 2006, e diverse. In una di queste si afferma che l’esistenza di un matrimonio celebrato esclusivamente con rito rom, equivalendo ad una convivenza di fatto, non impedisce l’espulsione del compagno convivente della donna in stato di gravidanza o nei sei mesi successivi alla nascita del figlio. L’altra pronuncia, sempre di espulsione di un futuro padre, chiede al giudice del rinvio di verificare se nello stato estero di appartenenza dello straniero il matrimonio celebrato con rito Rom “abbia la capacità di esplicare effetti giuridici”. Nulla di quello che avviene già nel Regno Unito. «Non devi fare come me. Tu ti devi sposare per amore», raccontava Begam a sua figlia Nosheen. La mamma, due mesi prima di quella orrenda giornata, aveva denunciato le botte del marito. E’ morta a sassate. Non in una piazza di un paese troppo lontano ma a Novi: Italia.