La tribù dove si violentano i bambini (e i capi coprono i pedofili)
21/09/2012 di Maghdi Abo Abia
Il New York Times ci racconta di quanto sta accadendo nella zona “casa” della tribù indiana dei Sioux, che sta ospitando al momento molti uomini accusati di violenza sessuale nei confronti di bambini.
VIOLENZA DIFFUSA – C’è un uomo travestito da babbo natale, che ha ammesso di aver stuprato dei bambini, così come un fratello del sindaco. Un altro loro fratello ha abusato di una bimba di 12 anni. C’è voluto l’arrivo degli agenti federali per vedere i primi arresti, dopo che le regole tribali si sono rivelate un completo fallimento provocando addirittura l’aumento incontrollato dei reati dovuti a questo tipo di violenze. I membri della tribù svelano che la violenza a danno dei bambini è notevolmente diffusa, anche se non si capisce perché questo debba avvenire. Probabilmente tra i fattori più comuni troviamo povertà ed alcolismo. I crimini raramente vengono perseguiti, vi sono pochi arresti e probabilmente proprio a causa della mancanza d’interesse da parte delle autorità che i pedofili hanno campo libero. Per dirne una, lo scorso maggio una bimba di nove anni ed il fratellino di sei sono stati uccisi dopo aver subìto violenza.
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TUTTO E’ NORMALE – Molly McDonald, giudice “tribale” fino allo scorso marzo, non capisce come mai tali usanze vengano accettate e considerate normali. Nei 6,200 residenti della riserva sono stati registrati 38 violentatori seriali. La città a fianco, Grand Forks, North Dakota, ad esempio, conta 13 colpevoli di reati a sfondo sessuale su 53 mila abitanti. Addirittura ci sono violentatori ai quali sono stati affidati dei bambini i quali chiedono aiuto per via della violenza subìta in casa, con bambine di 9 anni in grado di mimare atti di sesso orale.
MEDIA ALTISSIMA – Secondo gli ultimi dati ogni anno vengono registrati almeno tra i 20 ed i 30 casi di abuso su minore mentre nel 2011 sono stati poco più di una dozzina i casi sui quali ha indagato sia la giustizia tribale sia quella federale. Betty Jo Krenz, già impegnata nei servizi sociali della riserva, ha detto di aver tenuto sotto osservazione 131 bambini, dieci volte più della media statunitense rivelando che un dipendente governativo della riserva ha ammesso che la figlia gli aveva morso il pene. Le autorità federali tuttavia cercano di ridurre la portata del problema minimizzando quelle che classificano come “voci”.
LO STATO DICE DI NO – Thomas F. Sullivan, un direttore dell’amministrazione federale per bambine e famiglie, non può parlare su ordine dei propri supervisori, ai quali ha scritto che devono essere considerati colpevoli come tutti coloro che non hanno fatto nulla per prevenire la violenza sui bambini. Hankie Ortiz, direttore dell’ufficio dei servizi per gli indiani ha spiegato che i media hanno “ingigantito” il problema, dato che l’autorità è riuscita a fare progressi significativi nella lotta all’abuso dei minori, mentre per i membri della comunità sono le stesse autorità locali a coprire gli abusi.
I CASI – La polizia indaga sulla violenza solo se la vittima viene ricoverata. Quentin Yankton, 61enne fratello del capotribù, è stato ritenuto colpevole di stupro ai danni di un bimbo nel 1976, mentre nel 1992 avrebbe costretto la nipote di 15 anni a fare sesso con lui, e la ragazza è rimasta incinta dopo la violenza. Yankton è stato condannato a 12 anni di galera mentre il padre, accusato dallo stupratore di aver agito prima di lui, non è mai stato indagato. Joseph Alberts, 59enne babbo natale della tribù nel 1983 fu autore di uno stupro mentre nel 1986 è stato ritenuto colpevole di aver violentato dei bambini dall’età inferiore a 14 anni. Una bimba di 5 anni poi è stata sottratta dalla madre dopo che questa provò a dare fuoco alla loro casa con lei dentro. La piccola è stata affidata ad un uomo, stupratore. Le autorità decisero di riprendere la bimba per ridarla alla mamma. (Photocredit Lapresse)
+update: riceviamo e rendiamo scaricabile una lettera aperta dal blog nativiamericani.it
Ecco la risposta di Maddalena Balacco, curatrice di titolo e sommario
Gentili Alessandro Profeti e Bianca Frassi,
scrivo in quanto curatrice e responsabile del titolo e sommario da voi citati.
Abbiamo già ricevuto una serie di insulti da una persona che ha ripetutamente denigrato il nostro lavoro a proposito di questo articolo. Abbiamo ritenuto di non dover rispondere perché questa è la nostra policy nei confronti di chi non conosce il rispetto, la civiltà e financo come si conduce un dibattito. Adesso riceviamo questa vostra, che utilizza toni molto simili, e della quale ammiriamo la pubblicazione nel vostro sito ben prima della risposta che chiedete di avere, sintomo di chiara onestà intellettuale (perdonate l’ironia). Vi invitiamo a leggere l’articolo del New York Times, da cui abbiamo tratto le informazioni per il nostro (e che abbiamo citato nella prima riga dell’articolo), e il titolo:
A Tribe’s Epidemic of Child Sex Abuse, Minimized for Years
Sappiamo che non c’è bisogno di tradurvelo, e ci/vi domandiamo quanto sia differente dal nostro. Notiamo altresì che anche voi avete intenzione di spiegarci cosa sia l’etica giornalistica, pur non essendo giornalisti. La prima cosa che verrebbe in mente di rispondervi è che allora ci sentiamo in diritto di spiegarvi cosa sono i nativi americani, visto che ormai è di moda aprire la bocca e giudicare quanto non si conosce. Ma preferiamo sempre rispondervi con le parole dell’articolo utilizzato come fonte:
While members of the tribe say that sexual violence against children on the reservation is common and barely concealed, the reasons for the abuse here are poorly understood, though poverty and alcohol are thought to be factors.
E aggiungere:
The crimes are rarely prosecuted, few arrests are made, and people say that because of safety fears and law enforcement’s lack of interest, they no longer report even the most sadistic violence against children.
Detto questo, visto che nulla ci cambia nel merito, raccogliamo l’invito a cambiare il titolo con un “La tribù dove si violentano i bambini (e i capi coprono i pedofili)” e ad aggiungere il nome della riserva, certo che i questo modo le vostre sensibilità non saranno ulteriormente turbate. Facciamo però presente che la letteratura antropologica classica intende per tribù anche “sottogruppi della tribù stanziati in zone relativamente lontane l’una dall’altra.”, e tanto basterebbe a rispondere alla vostra campagna di viral marketing sulla pelle di bambini violentati.
Ma a questo punto, non basta a NOI. Il resto, ove si parla della “distruzione personale e fisica” dei nativi americani è chiaramente off topic con l’articolo (anche se vi ringraziamo del fatto che ci riteniate talmente ignoranti da non conoscerla) e, vorremmo sottolineare, NON giustifica in alcun modo le violenze sui bambini: dallo spazio che gli riservate all’interno di una lettera che parla d’altro, ad occhio, sembra invece quasi che vogliate farlo.
Ripetete insieme a me: in una tribù (“sottogruppi della tribù stanziati in zone relativamente lontane l’una dall’altra”) la violenza sui bambini era endemica e protetta dall’ignoranza. Questo era il fatto raccontato nell’articolo. Tutto il resto della vostra lettera, sembra quasi dire “Sì, va bene, ma anche loro hanno subito tanta violenza”. Giusto. Quindi i preti pedofili abusati a loro volta da bambini sono da perdonare, secondo il vostro ragionamento.
Mi spiego meglio: utilizzando il vostro metodo, dovremmo dedurne che stuprare un bambino va bene, se hai subito ingiustizie in passato. D’altro canto, se a voi pare una sintesi brutale e sbagliata il titolo che abbiamo proposto, di fronte a un gruppo di persone delle quali alcuni violentano i bambini, e altri li coprono, e dove “sexual violence against children on the reservation is common and barely concealed” (lasciamo la lingua originale, in modo da non poter essere accusati di fare interpretazioni scorrette), ci interessa ricordarvi che il NYT ha sottolineato come c’è voluto l’arrivo degli agenti federali per vedere i primi arresti, dopo che le regole tribali si sono rivelate un completo fallimento provocando addirittura l’aumento incontrollato dei reati dovuti a questo tipo di violenze. Voi questa cosa come la chiamate? E come lo chiamate il fatto che nella tribù in questione i crimini raramente vengono perseguiti, vi sono pochi arresti e probabilmente è proprio a causa della mancanza d’interesse da parte dei capi che i pedofili hanno campo libero? Senza contare che a noi pare una sintesi brutale e sbagliata fingere che la parola tribù voglia dire altro per attaccare senza motivazione alcuna la nostra etica professionale.
In ultimo: abbiamo notato anche nel finale della lettera l’insistere ossessivo su concetti quanto meno discutibili. Ad esempio:
“””E, ALTRI ANCORA, che li hanno privati delle loro risorse e delle loro terre per prendersi il meglio e le ricchezze. Lasciandogli la loro “civiltà”. Sono questi, ognuno nelle loro specifiche responsabilità, i colpevoli di questi crimini”””
Ecco, spiace vedere addirittura scritte per lettera assurdità di tale genere. I membri della tribù che hanno violentato bambini (contenti ora?), non l’hanno fatto perché gli americani, tanti secoli prima, avevano loro rubato le terre. No, lo hanno fatto perché sono criminali e malati. E sentire arrivare a giustificare la pedofilia come criminalità in nome dell’ingiustizia subita è qualcosa di ben più aberrante di qualsiasi titolo di giornale.
Se dovessimo utilizzare il “vostro metodo” (cit), ora dovremmo pubblicare queste considerazioni in cui voi sembrate giustificare le violenze sui bambini con quelle subite anni orsono dai nativi americani (non oggetto della notizia di cui parlate, e mai certamente negate da Giornalettismo), con tanto di foto delle vostre facce (come da voi fatto con quella di Maghdi nella vostra home page) chiedendovi di rettificare quanto scritto.
Ma a differenza vostra, non abbiamo bisogno di farci pubblicità.
Distinti saluti.
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