La7, la tv nata morta

LA CAUSA DI VITTORIO CECCHI GORI – Parlavamo di problemi. La formula di pagamento non andò proprio giù al buon Vittorio che si sentì “defraudato” di circa 750 miliardi di lire, visto anche quanto ricevette in cash e quanto veniva valutato il suo impero televisivo. Nel 2001 si rivolse ad un collegio arbitrale che dichiarò però legittimo il comportamento e gli atti di Telecom Italia Media nei confronti della vecchia proprietà di Tmc e Tmc2, ovvero la Cecchi Gori Communications. Telecom Italia Media, il soggetto che sostituì Seat Pagine Gialle, azienda “morta” dopo lo scorporo delle attività telefoniche, emise un comunicato nel quale smentiva le accuse di comportamento scorretto.

TUTTO IN REGOLA – “il collegio ha ritenuto del tutto legittime le operazioni di azzeramento e di ricostituzione del capitale sociale di Cecchi Gori Communications, considerando altresì congruo e legittimo il termine di 30 giorni che era stato fissato per l’esercizio del diritto di opzione. In sostanza, il collegio ha stabilito la legittimità degli atti con i quali Seat Pagine Gialle, sottoscrivendo il 100% del capitale sociale, ricostituito, della Cecchi Gori Communications, ha acquisito il controllo totale di tale società”. Insomma, il gruppo di Colaninno e Pellicioli ha messo a posto i conti dell’azienda, quindi di fatto è diventata sua, con buona pace del “mi’ bischero”, nomignolo affettuoso con il quale Mario si rivolgeva a Vittorio Cecchi Gori.

I PALETTI DELL’AGCOM – Uscito di scena l’imprenditore fiorentino, si apriva un nuovo problema per la gestione della Rete. L’acquisizione di Tmc e Tmc andava a scontrarsi con quella che era la normativa all’epoca in vigore, ovvero la 249/97, meglio conosciuta come “legge Maccanico”, la quale oltre ad aver previsto l’istituzione di un’Authority, ovvero l’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni, Agcom, vietava al concessionario del servizio di telecomunicazioni di entrare nel settore televisivo. Il 17 gennaio 2011 l’Agcom diede parere negativo all’acquisizione appunto per via della posizione dominante di Telecom nel mercato delle telecomunicazioni, nella quale era di fatto una monopolista anche se già allora esistevano altri soggetti.

IL RICORSO AL TAR – L’Autorità Garante per la Concorrenza invece diede il suo via libera il 23 gennaio 2001, anche se venne sottolineato come l’operazione in sé fosse vietata proprio per quanto deciso dall’Agcom, anche se non era in opposizione alle leggi dell’Antitrust, anche perché al 1998 Tmc e Tmc2 raccoglievano insieme il 2,6 per cento del mercato pubblicitario. Telecom e Seat – Pagine Gialle presentarono ricorso al Tar del Lazio sostenendo come la fu Sip non fosse più dal 1998 il monopolista delle telecomunicazioni in Italia. Il tribunale diede torto all’Agcom, che a sua volta propose un ricorso al Consiglio di Stato, perdendolo. 

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