L’accoglienza dei profughi è economicamente sostenibile?
11/09/2015 di Alessio Barbati
- L’accoglienza dei profughi porterà al collasso economico
- Nel mercato del lavoro ci saranno conseguenze negative su impieghi e salari
- Le tasse aumenteranno per far fronte alle nuove spese
Massimiliano Calì, Senior Trade Economist alla World Bank ha provato a rispondere a queste domande aiutandoci a fare un po’ di chiarezza su questioni che rimarrebbero altrimenti radicate nel pregiudizio.
COLLASSO ECONOMICO? –
Non solo l’arrivo dei profughi non influirà negativamente sull’economia, ma la Banca Mondiale stima una una crescita creale del Pil libanese del 2.5%, il risultato più positivo degli ultimi 5 anni.
«Un nostro rapporto per la Banca mondiale – spiega Calì – mostra come proprio il flusso di profughi siriani abbia aiutato l’economia libanese a mantenere tassi positivi di crescita, generando un aumento della domanda per servizi prodotti localmente. La domanda è finanziata da risparmi propri, da reddito da lavoro, da rimesse dall’estero e da aiuti internazionali. I soli 800 milioni di dollari in aiuti umanitari che l’Onu sborsa annualmente in Libano per i rifugiati siriani hanno contribuito per l’1.3 per cento del Pil del paese».
MERCATO DEL LAVORO? –
Anche sul mercato del lavoro, secondo Calì, non si verificheranno effetti negativi.
«Uno studio recente mostra che i profughi siriani in Turchia hanno rimpiazzato parte della manodopera locale, principalmente tra lavoratori informali e part-time. Ma l’ingresso dei profughi ha anche determinato la crescita dell’occupazione dei lavoratori turchi nel settore formale e questa riallocazione ha contributo a un aumento del salario medio».
FARDELLO FISCALE? –
Per garantire un’accoglienza adeguata aumenteranno le tesse? Calì ricorda l’esperienza turca.
«Per fornire accoglienza il governo turco ha speso finora 5,37 miliardi di euro, interamente finanziati dalle proprie entrate fiscali. E per quanto sia una spesa ragguardevole, non ha minato la sostenibilità fiscale del paese. Cifre simili appaiono alla portata della UE, la cui economia è ventitré volte più grande di quella turca»