“L’articolo 18 protegge i ladri”
22/02/2012 di Ferma Restando
Belpietro su Libero all’assalto della Cgil
Maurizio Belpietro coglie al balzo la palla della polemica di ieri partita da Emma Marcegaglia e firma un pezzo in cui va all’assalto della Cgil e dell’articolo 18, facendo poi elencare una serie di presunti casi in cui la norma ha protetto dei lavoratori che avevano rubato. Belpietro spiega:
Quanto vale l’eliminazione di questa zavorra sui conti di un’azienda? Pietro Ichino, senatore del Pd e giuslavorista di fama, ha pubblicato delle stime in cui si parla di un incremento di produttività anche del venti per cento. Senza la certezza di essere intoccabili, gli scansafatiche si rimboccherebbero le maniche e quelli che non ne hanno intenzione sarebbero costretti a cedere il passo ad altri con più voglia di loro. Secondo un manager tra i più importanti d’Italia, con esperienza anche all’estero (non è il succitato Marchionne), l’abolizio – ne dell’articolo 18 influirebbe sui conti del Paese molto più delle finte liberalizzazioni. Se è così, ora che anche la Marcegaglia ci ha ripensato, cosa aspetta la ministra Fornero ad andare fino in fondo? Attendiamo risposta.
E poi, in una serie di schede a firma di Antonio Castro, elenca gli aneddoti:
Clamoroso il caso di quel dipendente di una società di trasporto licenziato «a seguito di denunzia penale per atti di esibizionismo sessuale nei confronti di una viaggiatrice in una sala d’aspet – to ferroviaria», e quindi reintegrato grazie all’ar – ticolo 18. Il licenziamento è negato, scrivono i giudici del Tribunale di Milano, «qualora tali comportamenti siano stati posti in essere fuori dall’orario di lavoro, in località diversa e distante da quella di lavoro, senza divisa ferroviaria e il dipendente svolga mansioni che non comportano alcuna possibilità di contatto con l’utenza».
E qui c’è poco da dire: se l’orario e il luogo sono diversi, perché il giudice non avrebbe dovuto reintegrare?
Correva l’anno 2000. Nei locali smistamento bagagli di Malpensa 37 addetti vennero immortalati mentre, sereni e professionali, aprivano metodicamente i colli più promettenti. La Sea – sommersa dall’indignazione popolare per quel ratto aeroportuale – licenziò tutti quanti. Però tre di questi signori fecero ricorso. E uno è stato anche reintegrato nel 2008. La Società aeroportuale milanese ha fatto ricorso e vietato, al dipendente preso a frugare nei bagagli dei viaggiatori, almeno “di entrare in aree sensibili”.
Uno su tre, ora bisognerebbe vedere nel merito perché è stato deciso il reintegro. Ma Libero non ha voglia di spiegarlo.
Un dipendente dell’Eni, nonostante i reiterati richiami, di faticare proprio non ne voleva sapere. Il colosso energetico nel 2002 decide di passare al licenziamento. E porta in tribunale anche i filmati delle videocamere del garage per dimostrare che il signore non ne vuole sapere di lavorare. Però la Cassazione (sentenza 15892) nel 2007 decide che il licenziamento è nullo nonostante concordi che il lavoratore abbia tenuto un «comportamento malizioso e ripetutamente inadempiente». Insomma, è un fannullone, ma non si può licenziare.
Qui la storia è raccontata in modo così confuso che è impossibile anche solo capirci qualcosa.
Il principio di furto – se di modesta entità – non sembra interessare i giudici della Suprema corte, che hanno rispedito al posto di lavoro in un supermercato bergamasco il lavoratore che a fine turno era stato pizzicato ad infilare nel badge personale 5 euro prelevati dalla cassa. I giudici hanno deciso il reintegro. Le toghe ammettono che «si tratta di una condotta certamente scorretta e da sanzionare», ma poi concludono dicendo che l’ammanco non giustifica il licenziamento. La linea è: per farsi cacciare bisogna rubare tanto.
E questa è anche la linea dell’attuale ministro della giustizia. Cinque euro, poi… stiamo anche a discuterne?
Il tribunale del lavoro di Torino ha dichiarato illegittimo il licenziamento di Damiano Piccione, il trentaduenne manutentore della ditta di costruzioni stradali Itinera che nel settembre del 2010, in un giorno in cui era in malattia, prese parte a un’iniziativa sfociata nella contestazione di Raffaele Bonanni, segretario generale della Cisl. Piccione apparve in un servizio giornalistico televisivo mentre protestava e Itinera lo licenziò. Ai giudici l’operaio spiegò che la patologia di cui soffriva non gli permetteva di compiere sforzi ripetuti ma di manifestare sì.
E anche qui volete dar torto al giudice?
Licenziato in tronco per “tentato furto all’azienda”, sì è visto riassegnare il posto dal tribunale del Lavoro di Roma perché la cooperativa alla quale ha provato a rubare non ha proceduto alla «contestazione in forma scritta dell’addebito». Ammesso che abbia provato a rubare, gli andava prima contestato il tentativo di furto con raccomandata. Mancando questo passaggio formale l’Arsenio Lupin della coop ha riavuto posto e stipendio. E pure con procedura d’urgenza.
Discutibile, per carità.
Cassiera in una banca bergamasca, scossa dalla seconda rapina a cui assiste da dietro lo sportello, chiede di essere trasferita ad altro incarico. La banca non crede alla «sindrome da rapina » che la dipendente assicura di aver contratto a causa dei colpi subiti. Esaurito il periodo massimo di convalescenza, la banca procede al licenziamento. Ma la cassiera non si arrende: ottiene un certificato medico che conferma la patologia da rapina, fa ricorso e lo vince. Incassa 135mila euro di stipendi arretrati e torna al lavoro. Ma non dietro lo sportello.
E anche dopo quest’ultimo caso è tutto chiaro: se questa era la risposta di Belpietro alla Camusso, si vede che Libero non ha capito la domanda.