Lebanon: La guerra vista dallo spioncino

SHALOM – Ma non mi si fraintenda. Lebanon è un film ben lungi dall’essere perfetto. Il fatto che mi trova d’accordo sul Leone d’oro, lo ribadisco, è frutto anche e soprattutto della mancanza di concorrenza. Il film di Maoz è ben confezionato a livello di sceneggiatura e contenuti. Riesce anche, insospettabilmente, ad intrattenere. Perché è fondamentalmente impossibile non sentirsi parte dei destini degli inquilini del carro. La scelta del coinvolgere in prima persona lo spettatore è riuscita e vincente nel creare la tensione e la paura di non riuscire a sopravvivere. I problemi di Lebanon rientrano nel fatto che è, fondamentalmente, troppo. Troppo esasperato il concetto di essere inermi all’interno del mostro di metallo. Troppo esasperato lo spirito irenico e il dover per forza rendere tutto quello che accade la bandiera dell’insensatezza della guerra. Alla fine il troppo reale su cui si vuole basare diventa troppo simbolico, e quindi farsesco. Sarebbe bellissimo il suo finale che, senza che io lo sveli troppo, rappresenta il portarsi in assoluta parità a livello umano con un nemico che non si comprende e con cui non si può più comunicare. Lo sarebbe se questo eccesso di simbolismo non andasse a distruggere le basi stesse su cui si poggia il film. Un film che quindi vive una natura terribilmente compromessa: impossibile da gustarsi se lo si comprende a fondo, a causa di una lettura simbolica che ne rovina la sua stessa natura, e parimenti impossibile da gustare se lo si prende come un normale film di guerra da intrattenimento.

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