Leo Ortolani: «Dopo The Walking Rat, una graphic novel a acquerelli. Forse»
09/02/2015 di Boris Sollazzo
Leo Ortolani è un genio senza se e senza ma. Nessuno è come lui, il buon Leo è unico e irripetibile. Come il suo supereroe, Rat-Man, icona di un supereroismo normale, sfigato, buffo e allo stesso tempo nobile. Un po’ come Leo, umile per convinzione e non per posa. Non lo sa, questo pisano di nascita e parmigiano d’adozione, che con i suoi 48 anni (e più di 20 nel fumetto) ha fatto e sta facendo la storia di un’Arte sempre sottovalutata. Ora è a una svolta della sua carriera: lui e il suo alterego, il supertopo con faccia da scimmia, si separeranno. Tornando insieme per qualche “fuitina”. Per adesso ci godiamo una delle sue parodie, The Walking Rat: un piccolo grande gioiello in tre atti (il primo è già in edicola), con un nuovo eroe, cugino alla lontana, più morto che vivo (o forse è il contrario?), del nostro eroe preferito. Si chiama Puro Cotone, perché è un precisino convinto di essersi cucito il nome sul golfino. Appunto, un genio. The Walking Rat. Puro Cotone.
Prendere The Walking Dead, che in tv è in fase calante, e farne una parodia. Ok, lei è una specialista, ma non ha pensato che fosse troppo rischioso?
Queste critiche le ho sentite, ma certi personaggi li seguo da tanto tempo, ormai c’è dell’affetto tra noi. Il calo della serie tv l’ho notato, è fisiologico, ma non gli resisto comunque. Non smetterò di vederla, anche perché la serie a fumetti è straordinaria e mi piace ritrovare le situazioni che amo. Sto aspettando Negan, ad esempio, personaggio negativissimo ma molto carismatico. La caratura di un eroe viene data dal suo cattivo, lo sappiamo, e nella riduzione televisiva a parte il governatore c’è poco. Sono ansioso di vedere come faranno ad andare avanti dopo la pausa all’ospedale, utile solo a far fuori la rompimaroni con la chitarra.
Non ci dirà che anche lei ha tirato fuori dal cappello un supercattivo!
Anche io ho provato a creare dei grandi cattivi, lo dico. Il mio Negan arriva nella seconda parte della trilogia. Certo, non sono così estremo come il fumetto originale, il mio rimane un villain sopra le righe. Non dovevo provare empatia per lui. La voglia di dissacrare, di ridere e piangere, mi impedisce di trovare il cattivo monolitico e quindi stupido. Voglio troppo bene ai miei personaggi per farli così ottusi. Il cattivo grandioso e roboante e definitivo si presta alla grande alle prese in giro, come succede pure a scuola. Io amo i cialtroni, come nelle storie con il Dottor Destino. Io sono del parere che devi aprire l’armatura in due.
Come nasce il tuo zombie civilizzato?
Puro cotone? Era già scritta la sua storia, sapevo che dovevo farla. Succede raramente che lo zombie diventa protagonista, ricordo uno degli ultimi di Romero e poi quel film passato sotto silenzio per quanto era brutto, Warm Bodies. Pensai, leggendo la trama: m’han fregato l’idea! Ho voluto vederlo per non replicarlo, grazie a dio la deriva sentimentale non mi apparteneva e non ha rappresentato un problema. Mi faceva ridere l’idea di fargli organizzare un pomeriggio in cui parcheggiare le auto: in tutti i lungometraggi con i morti viventi abbiamo regolarmente queste enormi autostrade con veicoli messi per traverso, fermi, a bloccare tutto. Con gli occupanti morti, risorti o fuggiti. Mi sembrava un modo surreale di reagire alla propria condizione quelle di rimetterle al posto. E poi quel suo maglioncino con i rombi, che classifica certe persone anni ’80, ci dice che è un precisino, quasi uno da Azione Cattolica, il tipico animatore scout, che vuole fare gruppo e comunità. E solo uno scout può ambire ad animare un mondo morto.
Parla per esperienza? Anche lei come Matteo Renzi è stato scout?
Sì, e sono stati la mia salvezza, sono uscito di casa così, grazie a loro. Ci sono entrato a 17 anni, tardissimo, e fu un’apoteosi poter vivere delle vere e proprie piccole avventure, avere l’occasione di perderti e trovare case nel bosco, con nonna e nipotini e non con i mostri, è un regalo unico. E poi magari c’è chi rimane qualche ora e gli ripara il generatore perché fa l’istituto tecnico.
Nasce da quella divisa un po’ buffa per un adulto la sua “mania” per i costumi bizzarri per i suoi protagonisti?
Parlando della divisa degli scout non dimentichiamo che serve a identificarsi ma anche a dare un segnale immediato a chi ti guarda. E’ come vedere i vigili urbani: sai che vedendoli possono aiutarti e lo capisci grazie a come vestono La gente ti guarda e sa che non rubi i soldi ai pensionati. E i pensionati, anche per questo, ti aprono. Poi ne sono uscito, ribellandomi a certe regole. La mia fortuna è che ho fatto tante cose (persino il servizio militare seppe mettere a frutto con strisce autobiografiche su Sturmtruppen – ndr) e tutte queste esperienze le metto a frutto da sempre per le mie storie.
Ora, per esempio, da cosa si fa ispirare?
Mi divertono molto gli anziani ora, nella loro razionale follia. A 48 anni mi sento giovane come a 20 anni, ma so che sto invecchiando. Mi diverto a guardare le loro pazzie senili, fonte inesauribile di gag, dall’ossessione per i lavori stradali a certi commenti geniali.
Un qualcosa che diventerà anche mio, se già non lo è.
Sta per lasciare il suo personaggio più fortunato, con un gran finale e tante celebrazioni. Sta succedendo quello che tutti noi appassionati temevamo. Noi siamo disperati, lei come si sente?
Rat-Man? A Novembre sono 20 anni di bimestrale continuo, prima autoprodotto e poi Panini. Non puoi non fare un punto, un bilancio dopo tanto tempo. Avevo detto tutto, era giusto dire basta. Perché fare un restyling, cercare altre soluzioni placebo, creare universi paralleli magari affidare a un team di altri sceneggiatori per poi raccontare sempre le stesse cose? Volevo finire il racconto, non lasciarlo sospeso. Certo, lo utilizzerò ancora per spin-off o parodie, c’è ancora la terza trilogia di Guerre Stellari che aspetto con impazienza! Il punto è che voglio fare cose diverse. Per chi ha letto il numero 56, La storia finita, ecco quella è la mia filosofia: in questo mare ho già pescato abbastanza, ora basta. Magari andrò al largo, cercando grandi graphic novel e non trovando nulla tornerò a Rat-Man. Se è successo a Conan Doyle con Sherlock Holmes, perché non dovrebbe accadere a me? Io so solo che per continuare a divertirmi, voglio sempre spiazzare me stesso, andare oltre e stupirmi. E quindi riuscire a fare lo stesso anche con i lettori.
Lei è un genio, i suoi stessi colleghi la trattano come una divinità. Eppure ogni tavola, ogni riga autobiografica lei la lastrica di umiltà e autoironia feroce. Una posa?
L’umiltà è consapevolezza, so chi sono, conosco i miei limiti, mi guardo allo specchio tutte le mattine: non potrò mai fare la rockstar del fumetto. Sì, sono un po’ come Rat-Man, perché so che siamo in tanti capaci di fare cose straordinarie, penso alla serie a cartoni animati con Cavalli e Ampollini, loro fecero qualcosa di pazzesco. Oppure a Flavio Campagna, regista e grafico pubblicitario che cambiò l’impostazione grafica dei giornali, o ancora Mauro Vecchi che dovrebbe già essere alla Bonelli da un pezzo, autore di una bravura spettacolare. Loro sono persone forse troppo discrete e riservate e quello che sono in grado di fare non riesce a uscire fuori, e questo per me è un po’ triste. Magari io sono qui perché sono più estroso, ma moltissimi che hanno dei doni incredibili rimangono nelle retrovie. Ti faccio un esempio: di Mauro Vecchi Roberto Recchioni ha detto “ora non possiamo far finta che non esista”. Fuori ci sono dei diamanti incredibili, ancora non scoperti. Questo è uno dei motivi per cui amo essere lettore e non solo scrittore. Non voglio diventare Sylvester Stallone, perdere la consapevolezza di me, e far delle cazzate pazzesche. Altrimenti, come lui, la prospettiva la recuperi nell’inferno dei tuoi errori.
Sono da tempo convinto che Zerocalcare abbia “imparato” la lezione di Ortolani, declinandola su se stesso. Esagero?
Zerocalcare? Michele Rech è pazzesco, è bravissimo già da solo. Raccontare e ironizzare sulla propria vita denota già una spiccata intelligenza. Utilizzare gli spunti pop della cultura di riferimento della propria generazione è una cosa che si fa spesso nel nostro lavoro. Si pesca nel proprio passato. Io l’ho fatto con gli anni ’70, lui con gli ’80, è la cosa più facile e immediata, tu ti rapporti sempre ai tuoi eroi e personaggi e miti. Io dopo Rambo facevo i gradini a due a due, noi ci mettevamo la fascia intorno alla testa. E lui fa lo stesso, è bellissimo come sia acuto nel vedere ciò che ha intorno e come lo lega ai riferimenti alla sua cultura. E poi sta facendo un bellissimo percorso di crescita, penso al bellissimo reportage su Kobane che già mostra un altro autore.
E ora da Leo Ortolani cosa dobbiamo aspettarci?
Voglio andare giù a uovo, in discesa libera. Non ho ancora ben preciso se la racconterò tutta insieme questa discesa oppure se prenderò fiato come ho fatto con The Walking Rat. Nel finale voglio dare tutto, questo lo so. Facendo il Rat-Man gigante, capisco d’essere diventato più corale, prima mi rivolgevo a due, tre personaggi al massimo. Ora faccio Il signore degli anelli e altri romanzi “collettivi”. Vado verso un finale complicatissimo ma me lo sto cercando. Non so se gestirò ancora delle serie infinite, ho delle bimbe a cui voglio dedicarmi più che ai fumetti, sono sincero. Vorrò fare miniserie e storie lunghe, speciali magari sulla prossima trilogia di Guerre Stellari. Poi voglio ripescare le recensioni cinematografiche, mi divertivano tanto. E devo cercare il cartone giusto per la copertina di quelle graphic novel che fanno così bene gli altri. Mi piace pensare di riuscirci anche io, adoro gli acquerelli di Gipi. Solo pensare di potermi accostare a quello è uno stimolo meraviglioso. Ho sempre paura di volare, ma poi è più forte quella del rimpianto di non averlo fatto. E quindi mi butto. Magari con una ragazza non ci riuscivo, nel fumetto sì!
Un esempio ce lo deve fare
Avrei in mente questa storia di Dylan Dog completamente folle, non sulla lunghezza d’onda del restyling di Roberto Recchioni e del canone Bonelli, alla Garth Ennis. Vorrei disegnarla e svilupparla. Sempre musi da scimmia, ovvio, non imparerò mai a fare volti umani, ormai sono troppo vecchio per farlo. Devo trovare il tempo. La cosa bella per me è quando mi chiedono di lavorare con un personaggio che ha vissuto per decenni, è un privilegio. Ma so già, avvicinandomi a lui, che dovrò stravolgere tutto, a modo mio. Se non ingarbuglio le linee narrative e le faccio diventare mie non mi diverto.