L’etanolo in crisi nelle mani dei petrolieri

03/01/2014 di Mazzetta

food for fuel

SI SOMMA, NON SI SOSTITUISCE – Milioni di asiatici attendono ancora di salire in macchina e anche il Sudamerica ha ancora ampi margini d’espansione, poi ci sono le leggi contro l’inquinamento nei paesi più avanzati che assecondano il ricorso all’etanolo come mitigazione delle emissioni, anche se ormai è chiaro a tutti che il consumo dell’etanolo si aggiunge e non si sostituisce a quello dei combustibili fossili e che quindi è del tutto improprio considerare l’innovazione come un passo verso un minore inquinamento dell’atmosfera. È vero semmai il contrario, che il ricorso all’etanolo ha messo a disposizione miliardi di barili di combustibile appena meno inquinante in più.

GLI ANALISTI APPREZZANO – Considerazioni che le analisi correnti tendono a sorvolare, anche un recente articolo dedicato al fenomeno dal Washington Post, si preoccupa di magnificare la felicità del contadino che una volta raccoglieva la canna da zucchero a mano e ora ne raccoglie molta di più con la macchina che gli ha dato il nuovo padrone multinazionale, ma manca di ricordare il prezzo pagato in termini di perdita di un immenso patrimonio forestale e anche quello richiesto a milioni di contadini brasiliani convogliati nella coltivazione della canna da zucchero da padroni non meno esigenti. Così come manca di ricordare che quel contadino ora felice fa il lavoro che prima facevano molti contadini, che non avranno avuto molta altra scelta dal tentare d’inurbarsi alla meno peggio. Costi che a Wall Street non sono contabilizzati e che quindi non rilevano, l’investimento appare sensato e i petrolieri che investono i loro enormi profitti anche nella canna da zucchero brasiliana fanno un’operazione economicamente sensata, per loro, che non perdono mai.

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