Liberi i minorenni accusati di spacciare droga?
20/01/2014 di Dario Ferri
Luigi Ferrarella sul Corriere della Sera di oggi racconta che tra le varie misure contenute nel decreto svuotacarceri per ridurre il numero di detenuti negli istituti di pena c’è anche un problema di non poco conto: il governo ha modificato la legge sulla droga al quinto comma dell’articolo 73 del dpr 309/90. E l’effetto potrebbe essere curioso:
Mentre prima la «lieve entità » dello spaccio (lieve «per la qualità o quantità dello stupefacente » oppure «per i mezzi, la modalità e le circostanze dell’azione») era una circostanza attenuante del reato, ora il nuovo quinto comma la trasforma in una autonoma fattispecie di reato, la cui pena massima è ridotta da 6 a 5 anni, e la minima è 1 anno. La norma è stata pensata dal governo per alleggerire il numero di tossicodipendenti detenuti a pene dure (ostative alle misure alternative al carcere) per episodi di microspaccio appesantiti dall’aggravante della recidiva.
Che problema c’è? Che i minorenni così saranno sempre più utilizzati dalle mafie per lo spaccio, visto che rischiano di meno:
Ma di questa norma sembra essere sfuggito il riflesso di una controindicazione nel mondo della giustizia dei minorenni, il cui codice di procedura del 1988 consente la misura cautelare del «collocamento in comunità» solo per i delitti puniti con la reclusione «non inferiore nel massimo a 5 anni». Siccome in base al codice la minore età è attenuante che comporta automaticamente una riduzione di pena, ora nel caso di spaccio di «lieve entità » la riduzione anche di un solo giorno fa sì che la pena teorica diventi «inferiore nel massimo a 5 anni»: e dunque renda impossibile ai magistrati, in assenza di aggravanti, applicare misure cautelari ai minorenni che facciano spaccio di droga di «lieve entità».