Anche l’Italia vende i porti
20/08/2015 di Redazione
Nonostante l’apparente analogia la mossa ha poco a che fare con la vendita di porti e aeroporti in Grecia, tanto che i porti turistici messi all’asta saranno probabilmente acquistati dai comuni.
GLI AVANZI DI UN PROGETTO MAESTOSO –
Andranno all’asta cinque marine turistiche Dismissioni anche in Calabria e in Costa Smeralda. Con una mossa che ricorda quella greca, ma che ha ben altre implicazioni e dimensioni,tanto più che sembra proprio che saranno i comuni a comprare dallo stato, niente privatizzazioni. Roma cerca di disfarsi delle rovine del programma «Italia Navigando», che doveva riempire le coste italiani di posti barca e fornire così il carburante a un robusto sviluppo del turismo marittimo. Ma Invitalia, società controllata dal ministero dell’Economia, ora cinque porti turistici tra i quali i moli e pontili a Capri, la marina di Portisco in Costa Smeralda, la marina d’Arechi nel golfo di Salerno, il porto delle Grazie a Roccella Jonica e l’area di Porto Lido a Trieste, per un totale circa 2.500 posti barca.
UNA STORIA FINITA MALISSIMO –
Ricorda oggi il Corriere che «il progetto avviato una decina di anni fa, aveva preso il nome di «Italia Navigando», una società controllata proprio da Invitalia, e prevedeva un massiccio intervento pubblico per realizzare una rete di 50 porti turistici e la bellezza di 50 mila posti barca. Lo Stato si faceva, insomma, carico di sviluppare un maxipolo nautico da nord a sud dell’Italia. Con un particolare occhio di riguardo proprio per le aree del meridione. E alla presidenza di Italia Navigando nel 2010 è arrivato il leccese Ernesto Abaterusso, un ex deputato ds, legato da una lunga consuetudine con Massimo D’Alema, che quest’anno ne ha sostenuto la candidatura al consiglio regionale della Puglia. Proprio qui, nei piani di Italia Navigando, figuravano otto marine. Compresa Gallipoli, dove erano previsti 379 posti barca. I porti turistici ad Abaterusso hanno fruttato più di un grattacapo. L’ex presidente di Italia Navigando (che intanto è finita in liquidazione sepolta dai debiti) è iscritto nel registro degli indagati per la vicenda del nuovo porto della Concordia di Fiumicino, un progetto per una maximarina da 1.500 posti barca e 400 milioni di investimenti sulla costa laziale».Un disastro, a luglio la procura di Civitavecchia ha chiuso le indagini sui lavori di costruzione del porto, partecipato da Italia Navigando, e sta per chiedere il rinvio a giudizio per abuso d’ufficio, frode e appropriazione indebita. Nel registro degli indagati figurano anche Domenico Arcuri, attuale amministratore delegato di Invitalia, e Manlio Cerroni, dominus incontrastato nella gestione della raccolta dei rifiuti a Roma. Quanto basta per escludere la vendita del porto della Concordia dal bando dove compaiono gli altri cinque in via di cessione. Un’operazione di dismissione che comunque, nel suo complesso, si sta rivelando disseminata di ostacoli e dubbi.
LEGGI ANCHE: La Germania fa “shopping” di aeroporti greci
UNA VENDITA AI COMUNI? –
Il Corriere riporta anche le obiezioni di due parlamentari del PD all’operazione: «Nel frattempo un’interrogazione parlamentare, firmata da Vincenza Bruno e Nicola Stumpo, entrambi del Pd, ha chiesto al governo di sospendere tutto. I due parlamentari contestano l’incongruenza della procedura, alla luce delle modifiche al bando introdotte in corsa da Invitalia. In particolare, Bruno e Stumpo hanno puntato l’indice contro la riserva di una quota del «31% a favore di enti e/o imprese pubbliche» fissata per il Porto di Roccella Jonica. Una modifica che ha «introdotto una limitazione di acquisto ai privati, che in sostanza si concretizza in una palese agevolazione dell’unico ente pubblico — il Comune di Roccella Jonica — interessato all’acquisto». Un corto circuito, tanto più considerato che Invitalia vende i porti motivando la scelta con l’obbligo di rispettare la norma che impone la dismissione delle partecipazioni societarie da parte degli enti pubblici. Per Roccella Jonica la norma è ancor più stringente poiché i Comuni con meno di 30 mila abitanti non possono detenere alcuna partecipazione.