Matteo Renzi, l’Italicum e l’inganno del Senato
16/03/2014 di Andrea Mollica
L’Italicum è stato approvato dalla Camera dei Deputati. Una svolta salutata con grande enfasi dal presidente del Consiglio Matteo Renzi, che però sembra più aver esultato per il sospiro di sollievo di essere sfuggito ai franchi tiratori. La riforma elettorale avrà senso, nella sua forma attuale, solo con l’addio al Senato della Repubblica, che però rappresenta un ostacolo significativo sulla stessa approvazione dell’Italicum, senza considerare quanto sia complicata lo stesso ripensamento di Palazzo Madama.
ITALICUM E SENATO – L’Italicum è stato approvato dalla Camera dei Deputati a circa due mesi dall’accordo tra Matteo Renzi e Silvio Berlusconi, siglato nella sede del Partito Democratico dopo un incontro che accese molto polemiche all’interno dei democratici. L’accordo tra i due leader di PD e Forza Italia verteva su un modello elettorale piuttosto simile al testo approvato dall’aula di Montecitorio, che però è stato rivisto in modo significativo in alcuni punti. Il più importante è stato lo stralcio dell’articolo 2 dell’Italicum, ovvero la cancellazione della nuova disciplina elettorale per il Senato della Repubblica. In questo modo rimarrà in vigore il sistema codificato de facto dalla sentenza della Corte Costituzionale, ovvero un proporzionale con una soglia di sbarramento al 3 % a livello regionale, con ripartizione dei seggi sempre regionale. Per diventare senatori, sempre che le regole rimarranno ancora in vigore nel momento del voto e che soprattutto esista ancora la Camera alta, ci vorranno le preferenze, mentre per diventare deputato ci saranno le liste bloccate. L’Italia è sul punto di acquisire due leggi elettorali molto diverse tra loro; da una parte il sistema subpresidenziale dell’Italicum, con un vincitore da ottenere tramite premio di maggioranza o ballottaggio. Dall’altra invece un modello elettorale di classico impianto proporzionale, con una soglia di sbarramento di stampa europeo, che punta a dare rappresentanza al consenso espresso piuttosto che forzare il sistema alla governabilità.
IL SENATO E MATTEO RENZI – Nel patto originario tra Renzi e Berlusconi suggellato dalla direzione del PD c’era una riforma elettorale pronta all’uso, che sarebbe servita, come arma di pressione, per lo stesso segretario democratico nel caso di rapporti conflittuali con il governo Letta. La storia ha preso una direzione diversa, e l’Italicum è così diventata un’arma a metà. Se approvato, servirà a Renzi per poter dire che le cose finalmente cambiano. I suoi oppositori, soprattutto quelli interni al PD, avranno invece la possibilità di continuare una legislatura nella quale i rapporti di forza sono ancora quelli del vecchio corso bersaniano, dove la maggioranza del presidente del Consiglio nel gruppo parlamentare democratico è quantomeno molto fragile, se non puramente teorica. Gli stessi voti sugli emendamenti più delicati bocciati alla Camera dei Deputati, come quelli presentati da La Russa e Gitti sulle preferenze, sono passati con margini di voto molto risicati. Lo scrutinio segreto, che manca al Senato, ha favorito un simile equilibrio, ma vari deputati del Partito Democratico, anche di rilievo come Rosy Bindi o Francesco Boccia, hanno votato in dissenso dal gruppo, senza contare che l’ex presidente del Consiglio Enrico Letta non ha partecipato al voto finale. Con simili comportamenti al Senato della Repubblica i numeri dell’Italicum sarebbero molto a rischio, e si potrebbero imporre modifiche al testo legislativo che imporrebbero, quantomeno, un nuovo ritorno dell’articolato alla Camera dei Deputati. Nel nostro ordinamento il bicameralismo è ancora perfetto, e una norma deve essere approvata in modo identico da Camera e Senato per poter essere ratificata dal presidente della Repubblica. L’Italicum, oltre ai nodi aperti come parità di genere e preferenze, che hanno plasticamente diviso il Partito Democratico come non capitava dai tempi dei 101 franchi tiratori contro Romano Prodi, sconta inoltre una difficoltà programmatica. Matteo Renzi ha messo tra le sue priorità di governo l’abolizione dello stesso Senato della Repubblica, e i suoi componenti saranno probabilmente poco entusiasti di votare una norma che accelera la conclusione del loro mandato.
RETROMARCIA SUL SENATO – Matteo Renzi ha dichiarato che abbandonerà la politica se non ci sarà la revisione del bicameralismo perfetto, con questo legando il suo destino, quantomeno di breve periodo, all’addio al Senato della Repubblica. La riforma di Palazzo Madama, a differenza dell’Italicum, è però partito in modo molto più difficoltoso, anche perché si tratta di approvare una corposa revisione della Costituzione. Poco prima che la direzione del PD sfiduciasse Enrico Letta così accelerando in modo definitivo la corsa di Renzi verso Palazzo Chigi, l’allora sindaco di Firenze aveva illustrato un trasformazione del Senato in Camera delle Autonomie che è già stata stracciata. Il primo impianto prevedeva infatti una Camera di 150 membri composta dai sindaci dei comuni capoluogo di provincia, i presidenti di regione più 21 nominati dal presidente della Repubblica. I compiti di revisione. Una proposta approvata dalla Direzione PD, che però non è mai stata presentata in Parlamento, ed è stata smentita dalla ministra Maria Elena Boschi. Nel disegno di legge costituzionale che cambia il Senato della Repubblica così come rivede il Titolo V della Costituzione il modello presentato poche settimane fa viene rivisto in modo sostanziale. L’Assemblea delle Autonomie sarà sempre di 150 membri, ma nella sua composizione le regioni avranno un peso pari a quello degli amministratori. Tre sindaci, eletti da un’apposita assemblea, faranno parte della nuova Camera insieme al presidente e due delegati regionali. Il regionalismo a cui si ispira la nostra Costituzione viene parzialmente recuperato, anche se rimane sempre incerto comprendere come mai personale eletto per compiti puramente amministrativi possa svolgere funzioni legislative, per quanto limitate, così importanti. In questo il Senato renziano, che mischia legislatori come i consiglieri regionali e amministratori appare un’anomalia dal punto di vista istituzionale nel panorama europeo. In questo senso c’è una coerenza con l’Italicum, anch’esso modello elettorale praticamente senza alcun paragone con i sistemi adottati dagli altri paesi europei.
CAOS PALAZZO MADAMA – Il disegno di legge costituzionale lanciato da Matteo Renzi è composto da una quarantina di articoli, una revisione della Carta molto profonda che avrebbe tempi assai dilatati. Il ministro delle Riforme Maria Elena Boschi ha parlato infatti di un testo da licenziare a fine 2015, una previsione che appare oltre modo ottimistica visto quanto è lungo il procedimento previsto dall’articolo 138. Per modificare la Carta serve infatti la doppia lettura da ambo le Camere, con un intervallo di tre mesi. La tempistica indicata dal governo, un anno e mezzo, si potrebbe realizzare solo se ci fosse un accordo fermo sul testo. La complessità delle modifiche però rende irrealistica questa previsione, visto che lo stesso progetto di Renzi è stato modificato visto che all’interno dello stesso gruppo parlamentare del Partito Democratico non c’era una maggioranza sul testo iniziale. La riforma costituzionale, che il governo Renzi ha congiunto su riforma del Senato e del Titolo V, è tanto ambiziosa nel ridisegno dell’architettura istituzionale del paese quanto intrecciata ad una logica di più piccolo cabotaggio. Dopo lo stralcio dell’articolo 2 dell’italicum il nuovo modello elettorale può funzionare solo con un’unica Camera da cui dipenda la fiducia. Questo è infatti il punto più rilevante della riforma renziana del Senato, con il governo che dipenderà in futuro solo dall’assemblea di Montecitorio. Rimane però da chiarire un punto politico rilevante per il futuro della legislatura. Ha priorità la riforma del Senato e del Titolo V oppure la legge elettorale? Perché la risposta a questa domanda, che si può tradurre quale legge debba avere priorità nel percorso istituzionale, fa un’enorme differenza. Se l’Italicum avrà precedenza infatti il Senato l’Italia potrà dotarsi di una legge elettorale che non risolve il nodo della doppia maggioranza tra due camere diverse, l’esperienza del Porcellum che viene codificata con il nuovo sistema. Se invece la priorità sarà assegnata al Senato, il testo presentato dal governo ha molti punti critici da garantire un percorso di revisione costituzionale davvero molto lungo. Una stima superiore ai due anni, abbandonati, appare la più ragionevole, visto che sindaci e ben 21 membri nominati che concorrono all’elezione del presidente della Repubblica o alla riscrittura della Costituzione appaiono incongruenze che difficilmente supereranno l’esame di quattro letture.
SONDAGGI E SENATO – Il dilemma della priorità assegnata ad Italicum oppure alla riforma del Senato diventa ancora più rilevante osservando i dati degli ultimi sondaggi. Il centrosinistra appare in leggero recupero, probabilmente beneficiato dall’invasione mediatica di Matteo Renzi registrata in questi ultimi giorni. Il PD è di gran lunga il primo partito italiano e si colloca piuttosto stabilmente sopra il 30%, anche se la mancanza di alleati significativi rende equilibrata la competizione con il centrodestra. La maggior parte dei sondaggi assegna l’Udc al campo berlusconiano, così da favorire il centrodestra nella competizione per il premio di maggioranza per il primo turno. Il 37% rimane un obiettivo alla portata di mano, a cui al momento sembra escluso solo il MoVimento 5 stelle. Il bonus dell’Italicum, ottenibile al primo o al secondo turno, vale solo per la Camera dei Deputati, e di conseguenza se si votasse al Senato con il sistema elettorale uscito dalla sentenza della Corte Costituzionale la ripetizione delle grandi intese sarebbe obbligata con questi dati. L’Italicum servirebbe solo a stabilire il nome del presidente del Consiglio, che però per poter governare dovrebbe giocoforza cercare alleati per formare una maggioranza capace di approvare la propria iniziativa legislativa al Senato. Il nostro paese è ancora dotato di un bicameralismo perfetto, e senza una sua modifica l’Italicum diventa un modello elettorale che non raggiunge i propri obiettivi. Ecco perché Matteo Renzi punta così tanto sulla trasformazione di Palazzo Madama in Assemblea della autonomie, un obiettivo che però appare, in questo momento, ancora di più difficile realizzazione rispetto a tagli alle tasse senza coperture.