Di Maio vuole la riforma «dall’alto» dei sindacati, ma in Italia è successo una sola volta: con il fascismo
01/10/2017 di Gianmichele Laino
La parole di Luigi Di Maio sui sindacati, senza mezzi termini, stanno facendo il giro dei principali quotidiani nazionali. Il leader politico del Movimento 5 Stelle, parlando al Festival del Lavoro a Torino, ha affermato: «O i sindacati si autoriformano o, quando saremo al governo, faremo noi la riforma». Parole dure, espresse con un certo autoritarismo che ricorda decisamente altri tempi.
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LUIGI DI MAIO SINDACATI, L’ULTIMA RIFORMA DALL’ALTO IN EPOCA FASCISTA
A evidenziarlo, ad esempio, è Maurizio Landini, ex segretario della Fiom, il quale ha rimarcato come questa mossa del vicepresidente della Camera sia contraria ai principi della Costituzione. «Non sono i governi a dover riformare i sindacati – ha detto Landini -. In Italia una cosa del genere è già successa, quando al potere c’era il partito fascista».
In effetti, secondo l’articolo 39 della Costituzione, «ai sindacati non può essere imposto altro obbligo se non la loro registrazione presso uffici locali o centrali, secondo le norme di legge». Un principio inderogabile della loro libertà, che garantisce ai propri iscritti di intervenire per proporre eventuali modifiche ai loro statuti. Ma che impedisce a forze esterne di fare ingerenza all’interno delle loro strutture di base.
Di Maio, con le parole rivolte alla platea del Festival del Lavoro a Torino, invece, sembra andare proprio nella direzione che venne presa, nel 1925, con il patto di Palazzo Vidoni: all’epoca, le corporazioni fasciste eliminarono di fatto il sindacato libero, mentre il governo avocava a sé la rappresentanza sindacale con il consenso della Confindustria.
LUIGI DI MAIO SINDACATI, UNA MANOVRA PER RECUPERARE CONSENSI?
Gli unici ad avere le carte in regola per riformare i sindacati, secondo Landini, sono invece i lavoratori e gli iscritti: «Che i sindacati abbiano bisogno di un cambiamento, siamo i primi a dirlo e Di Maio non deve certo venire a spiegarci come fare. Trovo singolare – spiega Landini – che lui, originario di una città (Pomigliano d’Arco, ndr) dove la Fiat ha perso cause in tribunale per la discriminazione contro gli iscritti alla Cgil, non si sia mai espresso in merito. Faceva prima ad andare a parlare con la gente di Pomigliano anziché andare a Cernobbio».
Ma le parole di Di Maio potrebbero anche essere una semplice trovata elettorale per strizzare l’occhio agli elettori più giovani e arrabbiati per le difficoltà che stanno trovando all’interno del mercato del lavoro. La maggior parte dei sondaggisti, infatti, è d’accordo nell’individuare nell’uscita di Di Maio sui sindacati un vero e proprio spot per acquistare consensi. E allora, dall’autoritarismo, si passa davvero all’altra faccia della medaglia del fascismo: il populismo che fa leva sulle paure più radicate degli elettori. Ed è, se possibile, ancora più pericoloso.
FOTO ANSA/GIUSEPPE LAMI