Banca Etruria, parla ex dipendente: «Ci obbligavano a mentire ai clienti, Luigino ce l’ho sulla coscienza»
12/12/2015 di Redazione
«Io Luigino me lo sento sulla coscienza perché mi sono comportato da impiegato di banca e se fossi stato una persona che rispettava le regole non gli avrei fatto fare quel tipo di investimento». A parlare è Marcello Benedetti, ex impiegato ex impiegato della Banca Etruria di Civitavecchia, la banca dove Luigino D’Angelo aveva investito tutti i suoi risparmi per poi scoprire di aver perso tutto e decidere di togliersi la vita. Bendetti racconta Federica Angeli di Repubblica come fosse la banca stessa a dire ai propri dipendenti di mentire ai clienti sui rischi degli investimenti:
Fu lei a “convincere” Luigino ad investire i suoi risparmi in obbligazioni subordinate?
«Sì, Luigino fu uno dei primi clienti della banca a cui proposi questo investimento».
Lo mise al corrente dei reali rischi che correva in questo tipo di operazione?
Gli occhi si inumidiscono. «Firmò il questionario che sottoponevamo a tutti, nel quale c’era scritto che il rischio era minimo per questo tipo di operazione».
Una bugia scritta in un contratto?
«In realtà nelle successive carte che il cliente firmava, era presente la dicitura “alto rischio”, ma quasi nessuno ci faceva caso. Era scritto in un carteggio di 60 fogli».
E voi impiegati non mettevate al corrente i clienti?
«Avevamo l’ordine di convincere più clienti possibili ad acquistare i prodotti della banca, settimanalmente eravamo obbligati a presentare dei report con dei budget che ogni filiale doveva raggiungere. L’ultimo della lista veniva richiamato pesantemente dal direttore ».
«CI DICEVANO DI MENTIRE» – E quando il cliente chiedeva i propri soldi, l’obbligo era quello di rispondere che «Non c’era liquidità». Insomma, l’ordine era quello di mentire:
Pare di capire che la linea fosse quella di mentire al cliente, o meglio, di omettere verità. È così?
«È così. Quando i clienti venivano a chiederci la liquidità la banca ci diceva di rispondere che non ne aveva e che non sapevamo quando sarebbe stata disponibile. Quando si facevano insistenti, dovevamo dirgli che quelle obbligazioni erano finite nel mercato secondario e che non si vendevano».
«OGNUNO DI NOI CONVINCEVA PIÙ CLIENTI POSSIBILI» – L’ex impiegato di Banca Etruria racconta un clima di “sudditanza psicologica” che obbligava lui e i suoi colleghi ad agire in quel modo per paura di perdere il lavoro:
«All’interno della banca ci dicevano che la banca era sull’orlo del fallimento, e che l’aumento di capitale serviva a salvarci e che se non ci fossimo dati da fare la banca avrebbe chiuso e noi saremmo stati licenziati. Ecco perché ognuno di noi convinceva più clienti possibili».
(Photocredit copertina: ANSA)