Made in Japan: a volte basta poco per tirar giù lo stadio

LAZYNESS TRUCKING – Non ci si ferma un attimo, Lord e Blackmore introducono subito Lazy, tutta a disposizione del talento rumoristico dell’organista/tastierista, che porta al riff – sembra “Wild Thing” a un certo punto – e poi al duetto con la batteria, fantastico nel giro blues e nel giochino con le diminuite. Blackmore entra, e sembra quasi chiedere il permesso, mentre la distorsione stavolta non è al massimo – e quel suono sembra arrivare dal sud degli Usa – mentre accenna un paio di volte alla melodia. Poi la spara a tutto volume, e si comincia ancora con quegli accentoni su due e quattro (sembra di sentire dei jazzisti elettrificati, se non fosse per la batteria) che fanno il giro blues. Sono passati 6 minuti quando Gillian comincia a cantare. E sembra meno di un attimo. Space Truckin’, suite che occupa l’intero lato B del secondo disco conclude l’album spiegando a tutti perché i Deep Purple sono il gruppo live per eccellenza. E quando vai a quei concerti all’aperto che tanto sono gratis e quindi almeno si fa qualcosa di diverso, e senti quei quattro frocetti sul palco che suonano un’oretta scarsa e poi se ne vanno, sudando e parlando con il pubblico lo stretto necessario, ti viene proprio da pensarlo: ma non era meglio rimanere a casa a sentirsi Made in Japan?

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